I toni sono stati pacati. Non ci sono state asprezze polemiche.Tra il presidente di Confindustria Bonomi e il premier Conte si è veramente cercato di trovare una strada che possa consentire di costruire un progetto credibile e affidabile per affrontare insieme la sfida per trasformare l’Italia in un paese moderno, al passo con gli altri paesi occidentali.
L’annuale assemblea di Confindustria, quest’anno spostata in avanti rispetto al tradizionale appuntamento di maggio a causa del Covid, ha visto un tentativo di dialogo con il Governo per gestire con la partecipazione attiva delle forze sociali, un progetto in grado di utilizzare i fondi che l’Europa ci ha messo a disposizione per avviare un vero percorso di sviluppo capace di durare nel tempo.
Il presidente Conte in qualche passaggio del suo intervento, è parso addirittura scavalcare il presidente degli industriali, affermando di essere ben consapevole che gli investimenti, da soli, non possono assicurare quella svolta di cui il paese ha bisogno. Essi devono essere affiancati da una revisione della normativa generale in modo da rendere l’ambiente giuridico più favorevole alle imprese, da una riforma della giustizia non solo civile, ma anche penale, da un cambiamento profondo della Pubblica Amministrazione.
Certo il premier Conte ha ormai sviluppato una abilità trasformistica che gli consente di adattarsi perfettamente all’ambiente circostante, evitando le asperità e i punti di divergenza, per aderire, quasi con le stesse parole, al patto per la ricostruzione proposto dal presidente della Confindustria. Infatti nel suo discorso Bonomi ha più volte affermato che senza il ripristino di una piena fiducia tra cittadini e associazioni intermedie e il Governo e la Pubblica Amministrazione, non si mobiliteranno le energie di tutti, e non sarà possibile remare verso obiettivi condivisi e basati su una visione chiara del tipo di società che vogliamo diventare.
Ovviamente permangono differenze di accenti sia sull’analisi del passato, specie di quanto fatto dal Conte Uno, sia su alcune misure adottate recentemente o su atteggiamenti attuali rispetto a partite di grande rilievo. In particolare Bonomi ha avuto accenti critici sulla voglia di nazionalizzazioni che serpeggia in molti esponenti del Governo, sull’eccesso di sussidi che sono stati elargiti nei mesi passati, sulla politica per il Sud dove si è scelto un costoso taglio generale degli oneri sociali (incentivi che non hanno mai avuto effetto), invece di puntare tutto su infrastrutture e legalità, compresa quella che riguarda il rapporto con la PA.
Naturalmente Bonomi ha detto chiaro e tondo che rinunciare ai soldi del MES sarebbe un delitto. Sulle questioni delle relazioni industriali, Bonomi ha criticato il blocco dei licenziamenti e soprattutto ha rivendicato con forza la responsabilità diretta delle parti sociali in questa materia, tanto che si è pronunciato contro la fissazione di un salario minimo per legge e ha polemizzato aspramente con una parte del sindacato (la CGIL, anche senza nominarla) che preferisce fare polemiche invece che trovare soluzioni concrete e capaci di contribuire allo sforzo complessivo che l’intero paese deve compiere per recuperare la produttività perduta. Ci si accusa – ha detto Bonomi- di non voler fare i contratti, quando proprio due giorni fa abbiamo chiuso il contratto della sanità privata che non era stato rinnovato da 14 anni. La verità, sostiene Bonomi, è che c’è qualcuno che non vuol fare i contratti secondo le regole che due anni fa sono state stabilite in un accordo quadro tra le parti. E certamente, finché c’è un ministro del Lavoro che appoggia totalmente le tesi della CGIL tornata estremista, Landini troverà più conveniente ottenere dal Governo quello che non potrebbe ottenere dagli industriali.
È un bene che si siano accantonate le contrapposizioni più accese. Sotto sotto, tuttavia, si colgono delle distanze anche forti sulla modalità di approccio alle scelte per la ripartenza dell’Italia. Ma è importante che si facciamo dei tentativi per capirsi. E, almeno a parole, Conte sembra essere consapevole dei mali dell’Italia. Infatti ha anche affermato che per gestire i progetti del Recovery Fund serviranno norme ad hoc, cioè un ufficio responsabile del progetti e dei tempi di attuazione. Insomma si stanno facendo piccoli passi nella giusta direzione. Ma le cose da fare sono davvero molte. E per farle c’è poco tempo e quindi ci vorrà grande coesione e grande determinazione.