Morto un papa se ne fa un altro. Senza troppe storie: mentre il coroner – quel poco che resta del popolo italiano che ancora si interessa della politica – osserva il cadavere istituzionale ancora tiepido del governo Letta, constatandone con pigro senso del dovere il decesso, la scena politica – o almeno la sua narrazione – si arricchisce di un giochino a pronta scadenza, un cruciverba impossibile da finire sotto l’ombrellone, il rituale governativo del toto-ministri.
Il toto-ministri è come un frullato. Si mettono insieme voci di corridoio, mezze verità oppure semplici suggestioni e interessate autopromozioni, e poi si serve freddo. La squadra di Renzi è solo un’ipotesi sfiziosa con cui riempire le pagine di qualche giornale, ma già c’è almeno un nome capace di solleticare la fantasia di molti italiani, anche tra i profani della politica: è quello di Alessandro Baricco, possibile anche se improbabile ministro della Cultura.
“A me m’ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, fran, giù, cadono. Stanno lì attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, ma loro a un certo punto, fran, cadono giù, come sassi. Nel silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, non una mosca che vola, e loro, fran”.
Forse è cosi che Baricco avrebbe descritto la caduta del governo Letta, come quella di un quadro che all’improvviso finisce a terra, trascinato al suolo solo dall’inerzia. Senza un vero motivo, solo perché, molto semplicemente, il suo momento è arrivato.
Il feeling tra Baricco e Renzi, in qualche modo, sembra quasi spontanea. Vista da qui sembra un’unione naturale, priva di forzature. Entrambi rappresentano il lato più pop della sinistra, quello più pragmatico: la sinistra al netto della sinistra italiana. Entrambi, poi, fanno parte di una fattispecie rara, quella degli uomini pratici che parlano di sogni. Ed è proprio per questo, forse, che risultano ambigui, perché non capisci mai se hanno realizzato il proprio sogno o se hanno assegnato retrospettivamente un sogno alla propria realtà.
Si tratta di un nome d’immagine, sicuramente. Una tacca altisonante da apporre sulla cintura di un Governo nascente. Il più importante (piaccia o meno) autore italiano degli ultimi vent’anni al Ministero dei Beni Culturali. Di certo è un argomento, qualcosa di cui parlare, una delle tante scintille che accendono la miccia dell’eterna gara di sagacia che si disputa su Twitter.
Un nome d’immagine, dicevamo, ma chissà se, aldilà della diffidenza che l’opacità di Baricco (così come quella di Renzi) può suscitare, non si tratti anche di un nome di sostanza. La domanda è solo questa. La risposta arriverà col tempo, probabilmente. Su Baricco, e soprattutto su Renzi.