Un formaggio erborinato che richiama la grande tradizione dei blu piemontesi. Si tratta della Toma di Lanzo, un cacio a latte vaccino intero e crudo, a pasta pressata semidura che può essere semigrasso o grasso e per il quale il Consorzio Valli di Lanzo ha predisposto un disciplinare di produzione. Questo cacio è prodotto presso piccoli caseifici aziendali delle Valli di Lanzo o negli alpeggi, attraverso l’ancestrale rito della transumanza: i pastori trascorrono l’inverno nelle cascine di pianura intorno a Torino e nel periodo estivo salgono, con le loro mandrie, agli alti pascoli delle Valli dove le mucche si nutrono delle essenze vegetali e dei fiori di montagna, donando al formaggio un sapore unico.
Molti non lo sanno, ma la Toma di Lanzo è protagonista di una mostra regionale che si tiene ad Usseglio, giunta quest’anno alla sua 26esima edizione. Una manifestazione ideale per gli amanti della montagna e della buona tavola alla ricerca di eccellenze gastronomiche e artigianali locali.
La storia
Le prime notizie di questo formaggio risalgono addirittura all’epoca imperiale romana: verso il 150 d.C. quando la gens Vennonia, potente famiglia romano-torinese, inviava i propri schiavi in pascolo in Val d’Ala, dove producevano formaggio e burro. Le prime informazioni merceologiche sul formaggio prodotto nelle Valli di Lanzo risalgono al 1477, quando il medico vercellerse Pantaleone da Confienza scrisse di questa toma e delle altre tome piemontesi. A quel tempo il formaggio era consumato quasi esclusivamente dai ceti popolari che lo usavano, per condire altri cibi, al posto spezie più costose. La Toma di Lanzo viene successivamente citata in più documenti, fra i quali è bene ricordare il libro “Voci e cose del vecchio Piemonte”, scritto da Alberto Virgilio nel 1917 ed è da allora, che comunemente questo cacio è conosciuto come Toma di Lanzo.
La Toma di Lanzo ha però caratteristiche tradizionali che in parte differiscono da quelle fissate dalla DOP del Toma piemontese.
Produzione e caratteristiche della Toma di Lanzo
Il latte crudo proveniente da due mungiture – in cui la prima, quella serale, viene parzialmente scremata – viene riscaldato alla temperatura di 36-37° e addizionato con caglio di vitello. La coagulazione avviene in circa 10-60 minuti.
La cagliata viene rotta alle dimensioni di un chicco di riso con una frusta. Successivamente viene estratta con dei teli, impastata e pressata a mano. Segue un’altra pressatura, questa volta con pesi, per 24 ore. La salatura successiva viene compiuta esclusivamente a secco ed è una fase che dura 10-15 giorni in cui la forma seguirà numerosi rivoltamenti su entrambe le facce. Infine, le forme vengono portate in locali per la stagionatura a temperatura medio-bassa (5-10 gradi con 85% di umidità) per un periodo che va dai 20 ai 90 giorni.
La crosta è abbastanza morbida, elastica, sottile, di colore paglierino, più scura in base al tempo di stagionatura. La pasta è morbida, elastica, di colore paglierino chiaro, con occhiatura di dimensione fine, regolarmente distribuita.
Abbinamenti in cucina
Si consuma in purezza, usata anche per la polenta concia, in cui la toma si pone a cottura della polenta quasi ultimata e già aggiunta di una notevole quantità di burro. Ottimo anche l’abbinamento con il salame piemontese. È piuttosto ricercata come ingrediente per primi piatti come risotti (riso alla toma in cui quest’ultima viene mantecata in abbondanza rendendo il risotto estremamente filamentoso), zuppe e altre ricette a base di formaggio. Si abbina a vini rossi di vario tipo, di gradazione alcolica, in funzione della stagionatura.