“Penso che Elliott dovrà indire rapidamente un’assemblea di Telecom Italia per nominare i revisori dei conti”. Lo ha detto all’agenzia Radiocor un portavoce di Vivendi dal quartier generale parigino il giorno dopo la nomina di Luigi Gubitosi a nuovo amministratore delegato del gruppo Telecom.
La nomina dei revisori, bloccata dai veti incrociati tra Elliott e Vivendi nell’assemblea del 19 aprile scorso di Telecom Italia, dovrebbe avvenire con largo anticipo rispetto alla scadenza dell’incarico precedente. Telecom Italia sarebbe già in ritardo rispetto alle best practice, visto che il mandato dell’attuale revisore, Price Waterhouse, termina con l’approvazione del bilancio 2018. Sul tema non c’è tuttavia un obbligo di legge, come ha ricordato il gruppo Tim in una nota del 13 novembre.
Per convocare una nuova assemblea ci vogliono inoltre 30 giorni di preavviso. Quindi, se si volesse fissarla entro l’anno come chiede Vivendi, i tempi sarebbero molto stretti. Il portavoce di Vivendi aggiunge, inoltre, che “gli azionisti dovranno decidere tra il piano di Elliott di spezzatino della società e un piano industriale di medio termine che è stato votato al 98% nel corso dell’assemblea del 4 maggio scorso”.
Vivendi, al momento, non sembra intenzionata a chiedere in prima persona la convocazione di un’assemblea. Visto che ha i numeri per farlo, la società francese, peraltro, potrebbe integrare l’ordine del giorno dell’assise che sarà convocata per la nomina dei revisori. In alternativa, a chiedere l’assemblea potrebbero essere gestori di fondi che aggreghino almeno il 5% del capitale.
OPEN FIBER, RIPA: ENTRO ANNO 4,8 MILIONI DI CASE CONNESSE
Intanto si continua a discutere della possibilità di fusione della rete Telecom con quella di Open Fiber per creare un’unica infrastruttura nazionale. La numero uno di Open Fiber non ha voluto commentare l’ipotesi, ma all’ansa ha annunciato che la società prevede “di chiudere l’anno con 4,8 milioni di unità immobiliari connesse: 4 milioni nelle aree di mercato (cluster A e B) più 800 mila unità nelle aree interessate dai bandi Infratel (cluster C e D). Per realizzare tutto ciò abbiamo aggiudicato commesse per circa 1 miliardo di euro attraverso 48 gare”.
ANTITRUST: PROROGA DIRITTI D’USO FREQUENZE 5G È ANTICONCORRENZIALE
Infine, anche l’Antitrust dice la sua sulla contestata proroga, dal 2023 al 2029, dei diritti d’uso delle frequenze della banda 3,4-3,6 gigahertz assegnata ai pionieri del 5G, cioè Go Internet, Linkem, Mandarin e Aria. In una segnalazione al ministero dello Sviluppo economico e all’Agcom, l’Antitrust richiama “le criticità concorrenziali connesse al diffondersi della prassi di rinnovare i diritti d’uso delle frequenze senza lo svolgimento di nuove procedure competitive. Tale prassi, infatti, come già sottolineato in passato, produce l’effetto di non permettere il dispiegarsi di una concorrenza per l’acquisizione di una risorsa scarsa e impedisce, pertanto, che il confronto concorrenziale porti all’ingresso di nuovi operatori o all’emergere di operatori più efficienti”.
Recentemente, per aggiudicarsi le frequenze 5G messe all’asta dal governo, gli operatori hanno messo sul piatto 6,5 miliardi; in particolar e Vodafone e Telecom sborseranno 2,4 miliardi a testa. Da qui le segnalazioni all’Antitrust e i ricorsi al Tar contro le proroghe, e il possibile successivo trading per cifre inferiori a quelle dell’asta. Tiscali (che si è fusa con Aria), ad esempio, è in trattative con Fastweb per cedere le frequenze a meno di 200 milioni di euro.