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Tim sotto la guida pubblica e italiana di Poste sarà meglio o peggio di Tim privata e a controllo estero? Dipenderà da 3 discriminanti

Imagoeconomica

Meglio la Tim pubblica o privata? Meglio la Tim a guida italiana o a guida estera? Il colpo d’ala di Poste Italiane che, acquistando un altro 15% dai francesi di Vivendi, sono diventate il primo azionista della compagnia telefonica con il 24, 81% delle azioni ordinarie ha subito riproposto interrogativi non nuovi nella storia di Telecom Italia, ribattezzata qualche anno fa come Tim. Guida privata o pubblica e guida italiana o estera? Sono domande importanti ma alle quali non si può rispondere con pregiudiziali ideologiche. Nella turbinosa storia di Telecom ci sono state gestioni italiane e pubbliche eccellenti come quando negli anni ’80 le telecomunicazioni italiane erano controllate dalla Stet guidate da quel galantuomo di Giuliano Graziosi, voluto dall’allora ministro del Tesoro Nino Andreatta, o dalla Sip negli anni ’90 dove spiccava Tomaso Tommasi di Vignano, che dopo la privatizzazione di Telecom fu ingiustamente sostituito da Gian Mario Rossignolo per una errata valutazione di Umberto Agnelli, presente con Ifil nel nocciolino di comando della compagnia telefonica. Umberto Agnelli, che prima creò quel gioiello di Ifil e poi ebbe il grande merito di scoprire Sergio Marchionne, era un industriale illuminato e non abbastanza valorizzato ma quella volta sbagliò.

I veri guai cominciarono con l’Opa Telecom a debito

Ma nel primo gruppo italiano di tlc ci furono anche gestioni private come quella seguita all’Opa Telecom di Roberto Colaninno e degli avventurieri finanziari bresciani delle Hopa di Chicco Gnutti del febbraio 1999 che, sotto la spinta dell’allora Presidente del Consiglio Massimo D’Alema, inguaiarono la compagnia telefonica caricandola dei costi e dei debiti dell’operazione di acquisizione. Così come ci furono gestioni estere opache come quella degli spagnoli di Telefonica e più recentemente dei francesi di Vivendi.

In realtà saranno i fatti a dire se l’era di Poste Italiane segnerà o no una rinascita di Tim, considerando che la Tim di oggi non è comparabile con la Telecom di ieri, non perché ha cambiato nome ma perché è stata costretta a vendere la rete per gestire un debito che si era fatto soffocante e insostenibile. Come andranno le cose lo capiremo presto, ma i criteri di valutazione del nuovo corso sono fin da ora chiarissimi e si possono riassumere in tre punti essenziali.

Tim, le Poste e le tre condizioni che possono segnare una svolta

L’arrivo di Poste nel capitale di Tim con un “ruolo di azionista industriale di lungo periodo” avrà successo e potrà segnare a una svolta a tre condizioni:

1) che Tim si doti di un piano e di una gestione industriale lungimirante e innovativa che sappia agire in un panorama competitivo profondamente diverso dal passato e che sappia collocarsi nella frontiera più avanzata delle tecnologie investendo con generosità quel che c’è da investire;

2) che la gestione della società sia retta da una governance chiara e affidata a manager capaci, innovativi e affidabili che non mancano sia in Tim che nelle Poste e che possono eventualmente essere affiancati anche da altre professionalità presenti sul mercato;

3) che la nuova Tim – questo è il punto cruciale e più importante – sia gestita in modo indipendente dalla politica e sulle scelte strategiche non tolleri ingerenze che in passato, come con l’Opa Telecom a debito, hanno fatto solo guai.

Se questa sarà la strada che seguirà, la Tim – e con essa i suoi azionisti e i suoi stakeholders – potrà raccogliere le soddisfazioni che si aspetta e i benefici ricadranno sicuramente sull’intero sistema delle telecomunicazioni italiane, anche se il contesto competitivo del settore è quanto mai problematico.

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Categories: Economia e Imprese