Segnatevi sull’agenda questa data: 18 gennaio 2022. Non sarà un giorno banale per le due grandi sfide, quella di Tim e quella delle Generali, che promettono di infiammare la finanza italiana di quest’anno.
Il cda di Tim ascolterà l’illustrazione delle linee guida del nuovo piano industriale che sta elaborando il Direttore generale e Ad in pectore, Pietro Labriola, e che, salvo colpi di scena, dovrebbe prevedere la separazione di Tim in due parti: l’attività di Service e la rete, con l’idea di unire quest’ultima all’infrastruttura di Open Fiber e di dar vita così alla rete unica delle tlc. Le due società si divideranno attività, dipendenti e debiti e resteranno entrambe quotate in Borsa, rispondendo così ai rilievi della Commissione Europea, che non è affatto contraria alla rete unica, purché non avvenga in capo a un gruppo verticalmente integrato come è tuttora Tim. Il modello della separazione è un po’ quello seguito anni fa da Eni e Snam per la rete gas.
Il progetto di Tim piace a Cassa depositi e prestiti, che è il secondo azionista della compagnia telefonica e il primo di Open Fiber e che diventerebbe così l’azionista di controllo della futura rete unica. E piace anche a Vivendi, primo azionista di Tim, che potrebbe concentrarsi sulla società di Service.
Al di là della complessità dell’operazione, resta da capire però come si collocherebbe il fondo americano KKR, che sul finire dell’anno scorso ha annunciato la propria intenzione di lanciare un’Opa amichevole sulla totalità delle azioni Tim, ma che, nella sostanza, ha sempre pensato a una divisione della stessa Tim analoga a quella che sta elaborando Labriola, in modo da soddisfare le condizioni poste dal Governo (rete, tecnologie e occupazione) senza incorrere nei veti del Golden Power.
Nella stessa giornata di martedì, novità sono attese anche sull’altro fronte caldo: quello delle Generali, scosso dalle polemiche dimissioni dalla vicepresidenza e dal cda del Leone di Francesco Gaetano Caltagirone, che, insieme a Leonardo Del Vecchio alla Crt, ha dato vita a una cordata alternativa a quella guidata da Mediobanca. Ebbene, domani il board delle Generali – dal quale oggi si è polemicamente dimesso anche Romolo Bardin della scuderia Del Vecchio – dovrebbe effettuare una prima scrematura della candidature da cui emergerà verso metà marzo la lista del cda che sarà guidata dall’Ad Philippe Donnet e che sarà sottoposta al voto cruciale dell’assemblea della compagnia alla fine di aprile. Ma se nella prima lista, quella guidata da Donnet e sostenuta da Mediobanca e De Agostini, non si attendono grosse novità, salvo chiarire se alla presidenza resterà Gabriele Galateri, diverso è il discorso della lista alternativa di Caltagirone, Del Vecchio e Crt.
Caltagirone e Del Vecchio sanno benissimo che le loro speranze di convincere il mercato e di conquistare le Generali dipendono da due incognite, tra loro strettamente legate: il piano strategico e la squadra incaricata di attuarla. Che cosa vorrebbero davvero fare di diverso da Donnet i soci della cordata alternativa se conquistassero il Leone? Finora hanno fornito solo indicazioni vaghe e soprattutto non hanno mai chiarito come pensano di finanziare la crescita per linee esterne ed acquisizioni che sollecitano a Generali per tornare a primeggiare in Europa e a competere con giganti come Allianz e Axa.
Ma non meno rilevante per la credibilità della cordata Calta-Del Vecchio è la qualità della squadra che deve abbinare professionalità e indipendenza. I nomi che sono circolati sottotraccia sono di assoluto rilievo, come quelli di Patrizia Grieco, attuale presidente del Monte dei Paschi e di Assonime, e dell’ex presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, per la presidenza di Generali, mentre per il ruolo di Ad sondaggi sono stati effettuati con Fabrizio Palermo, già Ad di Cdp e oggi consulente della cordata, e con Sergio Balbinot, già Ad di Generali e oggi nel board di Allianz. Nomi di rilievo ma giochi ancora aperti, perché bisognerà vedere se i potenziali candidati (e quali) accetteranno l’offerta. In ogni caso si profila una battaglia molto incerta per un gioiello come le Generali, che hanno in pancia 60 miliardi del debito pubblico italiano, raccolgono 70 miliardi di premi e gestiscono in tutto 600 miliardi di euro, e che proprio per questo meritano molta attenzione e molta prudenza da parte di tutti.