Alla vigilia della riunione del Consiglio d’amministrazione di Tim di oggi, che probabilmente chiederà alle due cordate che si contendono la Rete (quella formata da Cdp e Macquarie e quella di KKR), di aumentare le offerte, la Borsa ha mandato un segnale inequivocabile (-4,43%) al vertice di Tim ma soprattutto ai suoi inquieti azionisti, dai francesi di Vivendi (23,8%) e all’italianissima Cassa depositi e prestiti (9,81%) .
TIM: IL SELL-OFF, IL RILANCIO DELLE DUE OFFERTE E I SOGNI DI VIVENDI
Che cosa significa il sell-off che ha travolto ancora una volta il titolo Tim a poche ore dal suo Cda? Che il mercato non vede chiaro nel futuro della prima compagnia telefonica italiana, che la via della vendita della rete resta difficile ma che le alternative lo sono ancora di più. E’ evidente che il vertice di Tim si attende qualcosa di più dalle due cordate che vorrebbero la Rete ma bisogna riconoscere che le offerte sono aumentate dai 14 miliardi di luglio 2022 ai circa 20 miliardi di oggi e che, pur insufficienti rispetto alle richieste di Vivendi, premiano il costante pressing del management della compagnia. Si può fare di più? Forse, ma le attuali offerte sono già allineate ai valori medi degli analisti e i miracoli non sembrano all’ordine del giorno. Forse un miglioramento delle offerte è possibile ma è improbabile che arrivi a soddisfare le aspettative di Vivendi che, dopo aver perso oltre 3 miliardi nel suo investimento in Tim, ora vorrebbe rientrare almeno in parte dalle minusvalenze pretendendo 31 miliardi per la Rete che nessuno è per ora pronto a riconoscergli.
Ovviamente solo se le offerte venissero alzate, il Cda di Tim concederebbe l’esclusiva a chi offre di più e da più garanzie di difesa del lavoro e di sviluppo. Ma che succede se nessuno delle due offerte viene, alla fine, ritenuta congrua? Naturalmente il titolo continuerebbe a rotolare giù in Borsa ma il riscatto non sarebbe comunque dietro l’angolo.
TIM: CHE SUCCEDE SE LA VENDITA DALLA RETE NON VA IN PORTO?
Salvo colpi di scena, le alternative alla cessione della Rete sono sostanzialmente tre:
1) si vende l’asset più pregiato – e cioè Tim Brazil– . ma sarebbe un boomerang perché il Brasile è una miniera di profitti che verrebbe meno in casa di vendita;
2) si ricapitalizza la società con un aumento di capitale di almeno 5 miliardi che permetta al vertice di rifinanziare il debito ma che pochi azionisti vorrebbero intestarsi;
3) di fronte al sempre più basso valore del titolo in Borsa, i francesi di Vivendi, che già detengono il 23,7% della compagnia, potrebbero lasciarsi sedurre dall’idea di lanciare un’Opa su Tim a prezzi straordinariamente convenienti, visto che oggi l’azione Tim vale 0,25 euro. Ma c’è un problema che va oltre i capitali necessari per sostenere l’Opa: il Governo Meloni sarebbe mai disposto a concedere il via libera a un grande gruppo straniero per conquistare un asset strategico come Tim oppure farebbe scattare la Golden Power?
Come si vede la situazione è assai garbugliata ma se il Governo, che tanto adora il sovranismo economico, non batte un colpo, Tim diventa un rebus inestricabile dal quale uscirebbero solo vinti senza vincitori. L’ora della verità è vicina e Tim è stata fin troppo martoriata dopo la sua privatizzazione ma rovinare del tutto un asset strategico come la sua Rete non lo perdonerebbe nessuno.