Dopo la tempestosa seduta di Borsa di venerdì scorso nella quale Tim è scesa al minimo storico di 0,1820 euro per azione con una caduta dell’8,1% che ha trascinato giù anche il Ftse Mib, può anche darsi che oggi la prima compagnia telefonica tenti il rimbalzo e provi a rialzarsi. Ma, al di là di quanto potrà succedere in Borsa nelle prossime ore, non c’è dubbio che i nodi stiano venendo al pettine e che la strada di Tim si presenti fortemente in salita. Pèrchè? Un po’ per ragioni strutturali che investono Tim ma anche l’intero campo delle telecomunicazioni europee e un po’ per ragioni contingenti, non esclusa la vicinanza delle elezioni politiche italiane.
TIM E LE DOMANDE DELL’AD LABRIOLA: LE TLC SONO SOSTENIBILI?
Ancora qualche giorno fa il nuovo Ad di Tim, Pietro Labriola, ha posto all’attenzione del mercato e delle istituzioni domande che riguardano il futuro prossimo e quello a medio-termine dell’industria europea ed italiana delle telecomunicazioni che, al contrario di quella americana, è caratterizzata da un numero abnorme di operatori e nella quale i costi (dovuti agli alti investimenti per le tecnologie e per l’acquisto delle frequenze del 5G ma adesso anche all’esplosione dei costi dell’energia) superano di gran lunga i ricavi. E’ sostenibile, si è chiesto Labriola, un’industria così zavorrata, che – aggiungiamo noi – nel caso di Tim lo è ancora di più per le conseguenze della disastrosa Opa a debito della fine degli anni ’90? E, nella speranza che ci sia un ripensamento sugli assetti del comparto che permetta di recuperare redditività anche per effetto di una nuova politica industriale europea, è possibile che il futuro Governo italiano sostenga le aziende energivore come Tim e che l’Agcom consenta l’indicizzazione dei prezzi telefonici all’inflazione come vuole fare Vodafone in Spagna?
TIM: IL BRACCIO DI FERRO VIVENDI-CDP SUL PREZZO DELLA RETE
Ma il nodo di fondo è uno: senza interventi straordinari – sostengono le banche d’affari – la gestione corrente non basterà a Tim per recuperare competitività. E’ lo stesso pensiero che sta alla base del nuovo piano industriale di Labriola che non per caso pensa di smontare il gruppo verticalmente integrato dividendolo in due – la rete da una parte e i servizi dall’altra – e cedendo la rete Tim alla Cassa depositi e prestiti in vista della fusione con Open Fiber. Purtroppo questa operazione avviene nel pieno della campagna elettorale e che cosa esattamente pensi il futuro Governo sta ovviamente in mente Dei. Tanto più che che sul valore della rete Tim le posizioni di partenza del primo azionista della compagnia e cioè Vivendi e della Cdp che dovrebbe acquistarla sono per ora lontane. I francesi pensano che la rete valga 31 miliardi, Cdp molto meno: si troverà un punto di equilibrio e la Cdp se la sentirà di avanzare un’offerta vincolante a Tim anche in una fase di grande incertezza politica come l’attuale? Basterebbero queste domande e questi dubbi a spiegare, al di là delle difficoltà strutturali del comparto delle tlc, perchè la Borsa stia picchiando duro sul titolo Tim.
TIM E IL FANTOMATICO PIANO MINERVA DI FRATELLI D’ITALIA CHE NASCONDE PROPOSITI DI NAZIONALIZZAZIONE
Purtroppo a complicare le cose c’è dell’altro e c’è l’intenzione della destra rappresentata da Fratelli d’Italia (anche se Giorgia Meloni è molto più cauta) di far pesare la propria forza potenziale e di condizionare i giochi sulla Rete unica. Non a caso il responsabile di settore delle tlc di Fratelli d’Italia, Alessio Butti, ha preannunciato un fantomatico Piano Minerva, dietro il quale sembra di capire riaffiorino le mai sopite tentazioni di nazionalizzare Tim. Ma con che soldi e per fare che cosa?
Di tutto Tim ha bisogno per tentare di risalire la china, ma delle ingerenze politiche sulla sua strategia farebbe volentieri a meno. Se ne riparlerà dopo il voto del 25 settembre ma i tempi stringono.