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Tim, il tiro al bersaglio della destra che manda il titolo sulle montagne russe della Borsa

In Borsa il titolo Tim è costantemente sull’altalena per effetto della speculazione alimentata – nel silenzio della Consob -dalle indebite ingerenze della politica e in particolare della destra di Giorgia Meloni – Gli speculatori sorridono ma a chi presenteranno il conto gli innocenti risparmiatori?

Tim, il tiro al bersaglio della destra che manda il titolo sulle montagne russe della Borsa

Tim sembra destinata ad essere l’innocente vittima sacrificale della campagna elettorale e soprattutto delle indebite ingerenze della destra di Fratelli d’Italia nei piani della maggior compagnia telefonica italiana. Non stupisce che in Borsa il titolo Tim – nel silenzio della Consob – sia continuamente sulle montagne russe: un giorno guadagna vistosamente e l’altro giorno perde pesantemente, ma i movimenti del titolo non hanno nulla a che fare con i fondamentali della società guidata da Pietro Labriola. Sono solo il frutto della speculazione alimentata dalle scorribande politiche della politica e in particolare della destra di Giorgia Meloni che ieri ha cercato di correggere il tiro quando però i buoi erano ormai scappati dalla stalla.

TIM E LA VOGLIA DI STATALISMO DELLA DESTRA CHE RECLAMA PIU’ GOLDEN POWER

La voglia di statalismo della destra populista non è una novità e ieri la Meloni in prima persona si è incaricata di ricordare che, se vincerà le elezioni del 25 settembre, accentuerà il ricorso ai poteri speciali del Golden power che dà diritto di veto allo Stato sulle scalate di società estere in imprese italiane considerate strategiche. Che la politica dica la sua sul delicato rapporto tra Stato e mercato in economia è del tutto legittimo ed è anche sacrosanto che voglia presidiare i gioielli del Paese. Ma a una condizione imprescindibile: di dire con chiarezza quali sono i gioielli, ossia le imprese ritenute davvero strategiche per l’economia italiana. Cosa che la Meloni (e, per la verità, non solo lei) si guarda dal bene dal fare. Perchè un conto è difendere le imprese non replicabili (strategiche vuol dire questo) come le reti di pubblica utilità, l’industria della difesa o le grandi banche e le grandi assicurazioni, che gestiscono il risparmio degli italiani e hanno in pancia un’infinità di Btp, e un altro è pretendere di difendere a tutti i costi qualunque azienda sia oggetto di interesse di investitori esteri. Non tutti sono gioielli.

Su questo non si può improvvisare e la Meloni, anzichè ascoltare gli improvvisati apprendisti stregoni del suo partito, farebbe bene a sentire soprattutto il presidente e co-fondatore di Fratelli d’Italia, Guido Crosetto, che essendo un imprenditore, sa benissimo che il patriottismo economico, legittimo quando si tratta di presidiare imprese davvero essenziali, non può calpestare le regole del mercato, il cui rispetto è parte integrante della credibilità internazionale di un Paese.

TIM: LA MELONI CORREGGE IL TIRO MA ORMAI I BUOI SONO SCAPPATI DALLA STALLA

Proprio su Tim gli apprendisti stregoni di Fratelli d’Italia hanno dato nei giorni scorsi il peggio di sè, prima opponendosi pregiudizialmente al piano Labriola che prevede la divisione in due della compagnia telefonica separando la rete – che è destinata ad essere acquistata da Cdp e partner e poi fusa con Open Fiber – dai servizi e poi mettendo in campo un arzigogolato piano di acquisto non solo della rete ma dell’intera Tim da parte della Cassa depositi e prestiti che, gestendo il risparmio postale degli italiani, va tenuta al riparo da spericolate avventure finanziarie. Ieri la Meloni ha sentito il bisogno di correggere il tiro, dicendo che la rete di Tim va difesa e dunque acquistata dallo Stato attraverso la Cdp e lasciando le attività di servizio alla libera concorrenza. Ma ormai i danni in Borsa sono fatti: con grande beneficio degli speculatori più scaltri e le cospicue perdite degli innocenti risparmiatori che il 25 settembre sapranno a chi far pagare il conto.

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