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Tennis, Italia-Slovenia mette nostalgia dei nostri campioni di ieri (da Pietrangeli a Panatta)

Il mio debutto in coppa Davis, naturalmente da spettatore, è avvenuto in occasione di Italia-Svezia (semifinale di zona europea) il 20 di luglio del 1957 al tennis Club Milano. Era un premio. Ero stato promosso in seconda media e mio padre (grande appassionato di tennis) aveva deciso che, a differenza del resto della famiglia (partita con il tradizionale vagone letto per le vacanze in montagna), io sarei “salito” (si andava da Napoli a Collei Isarco, praticamente al Brennero) con lui in auto. Prima tappa a Roma, con visita alla redazione del Mondo. Seconda a Bologna con incontro con gli amici del “Mulino” . Poi, finalmente una terza tappa a Milano, dove ci saremmo fermati tre giorni per chiudere il numero di “Nord e sud”, allora edito da Mondadori, ma soprattutto per assistere a Italia-Svezia, un classico tra i match di Davis.

Il primo incontro (quello di venerdì 20) prevedeva Beppe Merlo contro Ulf Schmidt. Avevo già avuto occasione di veder giocare Merlo (un meranese trapiantato a Bologna), in occasione del torneo internazionale di Napoli. Era un giocatore particolare: non molto alto, praticamente senza servizio (si limitava a mettere la palla in campo il più vicino possibile alla linea di battuta), non scendeva mai a rete, ma dotato di un passante micidiale (soprattutto di rovescio tirato a due mani con una racchetta che era accordata al minimo della tensione possibile, praticamente un cesto). Di solito i più forti giocatori del mondo (australiani in testa) la prima volta che lo incontravano sulla terra rossa pagavano dazio. Poi, una volta capito il suo gioco, prendevano le misure, motivo per cui la volta successiva le cose sarebbero andate meglio. Pagò dazio anche Ulf Scmidt, un lunganone con un fortissimo servizio, buoni colpi al volto, ma modesta tenuta nervosa. la quale, come è noto è fondamentale nel tennis, a maggior ragione in coppa Davis. Risultato: Merlo batte Schmidt 6-3, 6-0, 6-0.

Nel secondo match si affrontavano Nicola Pietrangeli e Sven Davidson. Quest’ ultimo era un giocatore forte e, per di più, dal carattere fumantino. Ad un certo punto dell’incontro un giudice di linea “rubò” scandalosamente un punto allo svedese, con una chiamata tardiva di un out che aveva visto solo lui. Era uno di quei punti pesanti. Più o meno sul 40 pari quattro pari. Davidson si infuriò, battè i pugni sulla ghiacciaia posta ai piedi del seggiolone dell’arbitro. Non ottenne la restituzione del punto, ma vinse in quattro set, su un Pietrangeli, tanto incolpevole, quanto frastornato per il tentato e riuscito scippo ai danni del suo avversario. Un episodio quello del quale si parlò a lungo e che certamente non fece bene alla squadra italiana che in quell’occasione aveva come capitano non giocatore, un gentiluomo come il marchese Ferrante Cavriani.  A rimettere le cose a posto pensarono il giorno dopo Pietrangeli e Sirola che vinsero il doppio in tre agevoli set, e lo stesso Nicola che vinse in 4 set su Schmidt il punto decisivo. Il secondo giorno, dopo il doppio, ebbi la fortuna di vedere giocare, in un incontro di esibizione con la riserva italiana Antonio Maggi, quello che sarebbe diventato un fortissimo giocatore svedese: Jean Eric Lundquist. Era tanto biondo quanto alto, ed era dotato di un servizio micidiale.

Altri tempi, altra Italia, altra coppa Davis. Allora vincere l’insalatiera valeva almeno quanto vincere Wimbledon. E grazie alla Davis uno sport squisitamente individuale come il tennis, riusciva per tre giorni a diventare uno sport di squadra. Oggi fino a domenica l’Italia torna a giocare in Davis contro la Slovenia, per cercare di tornare in serie A. Una strada tutta insalita che porta gli appassionati (come me di una certa età) ad andare indietro nei ricordi. Fino a Pietrangeli Sirola, Gardini e Merlo, passando per Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli, gli unici che una Davis l’hanno vinta davvero a Santiago del Cile.

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