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Telemarketing selvaggio e call center pirata: le promesse (negate) delle istituzioni

Foto di Bruno da Pixabay

Telemarketing selvaggio? È allarme rosso. Secondo gli ultimi report delle associazioni dei consumatori circa due terzi dei cittadini che posseggono uno o più telefoni cellulari (le Sim ufficialmente registrate nel nostro paese sono ormai la bellezza di 80 milioni, quasi due per ogni essere umano, compresi i lattanti ancora troppo piccoli per esigere il cellulare da papà e mamma) subiscono almeno cinque telefonate pirata a settimana. Senza alcuna sostanziale differenza – questo il dato più preoccupante – tra chi è iscritto o non è iscritto al fallimentare registro delle opposizioni.

Finirà mai il massacro delle telefonate commerciali moleste, illegittime e decisamente fuorilegge? Per rimediare all’imbarazzante fallimento del Registro e delle pratiche pirata messe in atto dalla moltitudine di call center che nel nostro paese operano ben oltre i limiti della legalità, a colpi di telefonate a raffica con l’uso dei robot e dei numeri telefonici taroccati che compaiano sul cellulare dell’interlocutore, lo scenario è ormai tristemente chiaro. Da una parte il Ponzio Pilato rappresentato dalle istituzioni: poche e prudenti le parole, ancor più prudenti e incerti i passi concreti. Con qualche giustificazione: intervenire è difficile, sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista giuridico-normativo, come del resto dimostrano gli analoghi scenari in giro per il mondo. Difficile, ma non impossibile. Come dimostra quel che sta accadendo, appunto, negli altri paesi. E come qui da noi suggeriscono gli esperti.

Gli impegni (negati) a combattere i pirati dei call center

Gli impegni ad intervenire a guardar bene non mancano. In questi giorni entra ufficialmente in vigore il “codice di condotta” messo a punto nel marzo scorso dal Garante della privacy che ribadisce i principi fondamentali di salvaguardia dei clienti dei servizi di tlc e fissa qualche nuovo paletto: ad esempio il divieto di massacrarci con le telefonate commerciali prima della 9 e dopo le 20 (che diventano le 10 e le 19 il sabato e i festivi) e di fornire informazioni dettagliate su come vengono trattati i nostri dati. Obblighi che in verità già esistono, ma vengono regolarmente violati.

“Il sistema funziona per quanto riguarda il mercato regolare della raccolta dei consensi e dei controlli. Ma a fianco del mercato regolare – declamava già all’inizio dello scorso anno il Ministro delle Imprese Adolfo Urso – ne esiste uno irregolare in cui le numerazioni vengono carpite in modo illegittimo in cui i chiamanti nascondono o modificano i propri numeri di telefono per non essere richiamati”. Per non essere identificati e rintracciati, in verità.

Decisamente inutile, per tutti noi, premurarsi di rinnovare l’iscrizione al registro a cadenza regolare per eliminare i consensi eventualmente dati nel frattempo sottoscrivendo i tanti (troppi) assensi alle comunicazioni in deroga alle norme sulla privacy che ci vengono richiesti praticamente ogni giorno quando compriamo prodotti e servizi. Rinnovare o non rinnovare l’iscrizione registro fa poca differenza: il massacro, prova provata, continua in ogni caso. Dunque “bisogna rafforzare il raccordo con le istituzioni preposte all’ispezione, mi riferisco ad Agcom e al Garante della privacy. L’attenzione del ministero è massima” garantiva il ministro Urso.

Raccordi, ispezioni. Ma fatti concreti? Nulla è accaduto nell’intreccio di competenze e di teorici doveri a intervenire da parte di Governo e Parlamento che devono normare e della pletora di autorità (Antitrust, Comunicazioni, Privacy) che devono suggerire, amministrare le regole, accertare gli abusi, sanzionare i pirati e possibilmente metterli in condizione di non nuocere.

Le soluzioni suggerite dagli esperti ma anche dai politici

Eppure qualche barlume di soluzione viene direttamente dalla politica, anche se con non poche incertezze e ambiguità. Scavando tra le proposte di legge presentate e che però giacciono nei cassetti, se ne scova ad esempio una presentata lo scorso anno da Fratelli d’Italia, che prevede obblighi che per la verità già esistono, come l’iscrizione obbligatoria dei call center a un elenco di imprese abilitate.

La proposta di FdI prevede, in aggiunta, un provvidenziale obbligo da parte delle aziende dei servizi di rispettare criteri più rigorosi quando affidano le attività dei call center a società esterne (gran parte dei problemi hanno origine proprio da questo), un rafforzamento dei controlli e l’obbligo per i call center di utilizzare numeri telefonici (quelli che compaiono su terminale dell’interlocutore) appartenenti a numerazioni dedicate e un inasprimento delle sanzioni, già ora teoricamente non lievi visto che sono previste multe fino a 20 milioni di euro o il 4% del fatturato per le aziende che non rispettano i criteri stabiliti.

Sulla materia si esibiscono anche le opposizioni. Ancor prima di Fratelli d’Italia il gruppo Pd della Camera aveva presentato una proposta di legge per l’“istituzione del registro delle autorizzazioni alle comunicazioni commerciali della qualità dei servizi di comunicazione alla clientela”. Registro, va sottolineato, a cui gli operatori sono già obbligati (in teoria) ad aderire.

È comunque interessante la proposta targata Pd di ribaltare drasticamente la tipologia dei consensi alle chiamate commerciali: dal dissenso che il cittadino consumatore deve formalizzare per non essere disturbato si passerebbe al sistema “opt-in” in base al quale è fatto normalmente divieto a contattare con telefonate commerciali qualunque cittadino a meno che questo non abbia espresso un esplicito assenso ad essere contattato. Esattamente il contrario dell’attuale sistema “opt-out”, che del resto è generalmente in vigore in tutti i paesi europei.

Obiezione: ma nei meandri assai confusi delle autorizzazioni in deroga alle norme sulla privacy che siamo chiamati giornalmente a firmare non si nasconderà in pratica un tranello che comunque vanificherà l’”opt-in”? Per rendere credibile una proposta di questo genere bisognerà lavorare parecchio, coinvolgendo direttamente il garante per la privacy. L’importante è muoversi. Cosa che le istituzioni evidentemente non stanno facendo con la necessaria solerzia.

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