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Telecom-Telefonica, e se tornasse di moda l’Opa modello Zapatero?

Il dibattito sul destino di Telecom riapre antichi e abbandonati problemi sul funzionamento del nostro mercato del controllo societario su cui è importante tornare a riflettere. In particolare la “mozione Mucchetti”, approvata in Senato, impegna il governo a: 1) rafforzare i poteri di controllo della Consob nell’accertamento dell’esistenza di situazioni di controllo di fatto da parte di soci singoli o in concerto tra loro, in linea con le decisioni già assunte dalla Consob stessa in casi analoghi; b) aggiungere alla soglia fissa del 30 per cento, già prevista per l’Opa obbligatoria, una seconda soglia legata all’accertata situazione di controllo di fatto.

La proposta appare tanto semplice quanto complessa è la sua realizzazione. Vale la pena a questo ricordare che nella storia più recente del mercato del controllo societario il fenomeno dell’Opa fu un’esperienza di breve durata, racchiusa entro il 1999. Concorsero all’eccezionalità dell’anno 1999: l’Opa su Telecom, quella di Banca Intesa sulla Banca Commerciale Italiana, e quella delle Assicurazioni Generali sull’Ina. Di fatto le tre Opa ora ricordate esaurirono il controvalore delle offerte che si manifestarono nel 1999. E così dopo gli avvenimenti del 1999 tale mercato svanì. Ad esempio nel 2012 (Consob 2012) il controvalore complessivo delle Opa su società quotate ha di poco superato il miliardo di euro (circa 30 miliardi nel 1999) e il numero complessivo di offerte, pari a 7 ha costituito il valore minimo dal 1993.

D’altronde, va ricordato per meglio comprendere l’attualità, che nel corso delle privatizzazioni, molti “poteri forti” preferirono rifugiarsi nel settore domestico per erogare servizi di pubblica utilità protetti dalla concorrenza interna ed internazionale, come l’editoria, gli aeroporti, le autostrade, le telecomu­nicazioni, la ristorazione, caso mai anche protetti dai “poteri speciali” anti scalata attribuiti al Ministero del tesoro. E così le privatizzazioni non furono colte dall’imprenditoria privata per mantenere l’industria manifatturiera italiana al posto che deteneva in Europa alla fine degli anni ottanta. Ma gli spazi lasciati vuoti dagli investitori italiani furono rapidamente occu­pati da acquirenti stranieri: tra il 1992 ed il 2000 su circa 40 dismissioni di aziende cedute con tecniche diverse da quella del collocamento sul mercato e per importi superiori a cento miliardi di lire, circa la metà furono cedute ad acquirenti esteri nei settori alimentare, siderurgico, dell’alluminio, chimico, meccanico, elettromec­canico, delle telecomunicazioni, dell’impiantistica, ecc. Gli incassi dalle cessioni che condussero al passaggio della quota di comando dagli enti pubblici ad in­vestitori stranieri hanno rappresentato circa un terzo del totale degli incassi dalle cessioni del controllo.

Anche a causa dei fatti ora ricordati il tema dell’Opa cadde nell’oblio compiaciuto di tanti per molti anni. Se ne sarebbe dovuto discutere approfonditamente nel 2007 in occasione dell’esame del Consiglio dei ministri del testo del decreto legislativo per il recepimento della direttiva 2004/25/Ce concernente le offerte pubbliche di acquisto.

Allora proposi di imitare il governo spagnolo di Zapatero e di abbandonare la soglia del 30 per cento quale limite unico oltre il quale far scattare l’Opa obbligatoria per affiancarla con una soglia più bassa (cfr. La voce.info Dossier: l’Opa europea A cura di Francesco Vella 14-09-2007). Dagli oppositori a tale abbandono venne eccepito che il mercato degli assetti proprietari avrebbe perso una condizione di assoluta certezza. Si sostenne infatti che affidare alla Consob il compito di verificare quando fosse mutato il controllo societario (anche sotto la soglia del 30 per cento) per far scattare l’Opa obbligatoria, avrebbe sottoposto il mercato a una condizione di incertezza, anche per i temuti ricorsi ai tribunali amministrativi che seguirebbero tale discrezionalità della Consob.

Vale ancora questa critica oppure essa appare superata o superabile? La risposta spetta al legislatore. Come accennato, non così aveva deciso il legislatore spagnolo. Questi, infatti, preoccupato della tutela degli azionisti di minoranza, ritenne che la variazione del controllo che impone l’obbligo di Opa scatti sempre quando venga superata la soglia del 30 per cento, ma anche quando, un soggetto acquisti una percentuale inferiore a tale soglia, se nei due anni successivi all’acquisto il nuovo controllore avesse nominato più della metà degli amministratori, tenendo conto anche degli eventuali amministratori già nominati precedentemente all’acquisto.

Forse varrebbe la pena di riprendere oggi la proposta Zapatero per il caso Telecom/Telefonica. Non sarebbe una norma retroattiva concepita in corso d’opera ma un quadro di riferimento per i prossimi anni su cui i nuovi assetti proprietari dovrebbero riflettere.

Strada, in ogni caso, assai ardua da percorrere in Italia ove la politica italiana e gli interessi imprenditoriali da sempre hanno spinto in direzione opposta allontanando vieppiù la normativa italiana (art. 104 e seguenti del TUF) dallo spirito del Testo Unico del 1998; tanto da far dichiarare al presidente della Consob di allora (2008) che “in Italia, modifiche alla disciplina sulle Opa e sulle partecipazioni rilevanti, apportate in una fase di drammatica instabilità dei mercati, hanno attenuato l’elevata apertura alla contendibilità del controllo, che ha caratterizzato – più che in altri paesi europei – il quadro normativo. Una volta superata l’attuale fase di emergenza, per quelle modifiche potrebbero essere previsti limiti temporali. I principi cardine del Testo Unico della Finanza restano, nel lungo termine, un saldo punto di riferimento”. (Consob, 2008. pp. 15-16). A tutt’oggi l’emergenza non pare ancora essere considerata superata, ai fini del ritorno ai principi cardine del Testo Unico.

Il caso Telecom, per non essere considerato caso a se stante per regolare i conti tra Telecom e Telefonica, potrebbe fare tornare ai principi cardine del Testo unico, insieme alla seconda soglia per l’Opa obbligatoria? Ma l’ambiente economico e finanziario come reagirebbe allo spirito del 1998? Malissimo, suggerisce l’esperienza.

Un’amara profezia avanzata affinchè non si realizzi: in omaggio all’italianità di Telecom la politica porrà ostacoli agli investitori stranieri; l’imprenditoria domestica si guarderà bene, secondo tradizione, dall’investire capitali di rischio nel settore delle telecomunicazioni, non più protetto dalla concorrenza, facendo appello alle banche affinchè forniscano capitale di debito; l’Autorità garante della concoerrenza continuerà a privilegiare gli interessi dei consumatori a scapito della redditività delle imprese: apparirà la mano visibile e salvarice della nuova iri sotto le vesti della Cassa depositi e prestiti. Amen

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