Dalla privatizzazione del ’97 in poi, di tribolazioni Telecom Italia (oggi Tim) ne ha conosciute tante, anzi troppe. La nefasta scalata a debito di Colannino e Gnutti del ’99 è stata e resta certamente la peggiore e ha segnato uno spartiacque nella storia della maggiore compagnia telefonica italiana che da allora ha imboccato la via del declino senza più realmente riprendersi. Perchè è successo tutto questo? Un po’ per l’inadeguatezza di qualche manager estraneo alla cultura delle tlc, molto per l’incompetenza e i conflitti d’interesse dell’azionariato che si è via via via affacciato alla ribalta e, più di recente, anche per la concorrenza selvaggia degli Over the Top, senza naturalmente dimenticare gli interventi a gamba tesa della politica, come fu la benedizione dell’Opa a debito.
Che avverrà ora, dopo il ribaltone uscito dall’assemblea di venerdì? I fatti sono noti: il fondo attivista Elliott, che gli argentini hanno conosciuto come un vero e proprio fondo avvoltoio quando guadagnò il 1.600% sui Tango bond, ha spodestato – con il concorso determinante della Cassa depositi e prestiti (Cdp), a sua volta sostenuta dal Governo e da tutto il mondo politico – i francesi di Vivendi, che in Telecom non ne hanno mai azzeccata una ma che hanno saputo individuare in Amos Genish un Ad di grande competenza e da tutti apprezzato. L’ingresso in campo, in una fase politica molto incerta e confusa, della Cdp farà discutere a lungo ma gli schemi ideologici sul ruolo dello Stato in economia e in Telecom non sembrano i più adatti a interpretare la novità degli ultimi giorni.
Il problema è valutare se, al di là dell’intervento della Cdp, ci fossero o meno altre soluzioni per difendere un asset davvero strategico come la rete Telecom che giustifica qualche manifestazione, ancorchè tardiva, di patriottismo economico, sempre lecito quando e solo se in gioco ci sono asset non replicabili ed economicamente rilevanti come in questo caso. E’ presto però per dire che ormai i giochi sono fatti e che la maledizione post Opa di Telecom sia davvero finita, come tutti si augurano. La verità è che la vittoria di misura del fondo Elliott con Cdp apre scenari inediti che solo il tempo aiuterà a chiarire.
C’è chi dice che ora la compagnia telefonica si appresta a diventare una vera public company, ma di per sè questo non basta a portarla fuori dalle pesti, perchè in tutto il mondo ci sono public company che funzionano benissimo (come la Vodafone di Vittorio Colao, per fare un esempio) e altre che hanno mai trovato la rotta giusta. Così come ci sono società guidate da un azionista di controllo o di riferimento che vanno alla grande (come la Fca di Sergio Marchionne) e altre che bruciano risorse su risorse. In dottrina, ma soprattutto nella realtà, non c’è una forma di governance che sia inequivocabilmente migliore di un’altra. Molto dipende dai singoli casi, dalla lungimiranza o meno degli azionisti e soprattutto dalla qualità dei manager.
La questione vera che investe il futuro di Telecom, ma più in generale del sistema italiano delle telecomunicazioni, è capire se il ribaltone di venerdì apra davvero la strada allo spinoff della rete e alla sua fusione con Open Fiber. Il vero metro di giudizio sarà questo: se nel tempo la fusione sarà realmente raggiunta, l’operazione realizzata da Cdp e promossa dall’intero sistema Paese sarà stato un successo, altrimenti no. Le premesse perchè si eviti l’assurda guerra tra più reti e si arrivi – tra un anno o due – alla fusione tra quella di Tim e quella di Open Fiber ci sono tutte ma, insieme alle premesse, ci sono anche i dubbi e principalmente due.
Il primo riguarda l’atteggiamento di Vivendi che venderà cara la pelle e, volendo, potrà agire da minoranza di blocco, impedendo lo scorporo della rete oppure cedendo la propria partecipazione allorquando si riavvicinerà ai valori di carico e aprendo la strada a nuovi sommovimenti dell’azionariato di Tim, oltre a quelli che potranno arrivare quando Elliott uscirà. Ecco perchè la Cdp ha messo le mani avanti, avvertendo che la propria quota in Telecom potrebbe anche salire.
attIl secondo dubbio riguarda le reali intenzioni del fondo Elliott, che non ha mai fatto mistero di voler principalmente e velocemente massimizzare il rendimento del proprio investimento per poi vendere attraverso un sapiente uso delle opzioni call e put già comunicate alla Sec, ma che negli ultimi giorni si è fatto più tiepido sullo scorporo della rete, fors’anche per non tirare troppo la giacca a Genish..
Il tempo dirà presto se la maledizione di Telecom è finita o no e se la guerra ai francesi sia stata o no un successo del sistema Italia, ma è appena il caso di sussurrare che, per completare l’opera senza scadere in inutili e dannosi statalismi di ritorno, servirebbe un Governo degno di questo nome e in grado di capire quale sia la vera posta in gioco per il Paese. Ma qui ci vorrebbe davvero un miracolo.
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Locatelli, posso ridere? È da 20 ann, anzi più, che i governi hanno badato a tutt'altri interessi che a quelli dell'allora ex SIP, poi Telecom ed infine TIM, non mi risulta che i più diretti interessati, ancor prima dei clienti, ovverosia i dipendenti siano mai stati tenuti in considerazione... qualcosa da dire l'avrebbero avuta ma verità e politica sono contrari e non sinonimi.