“Tutti portano la cucina in tv, noi abbiamo fatto esattamente il contrario”. Parola di Filippo Sinisgalli, chef del Il Palato Italiano, club di gourmet e di cultura gastronomica made in Italy con sede a Bolzano e l’occhio proiettato sul mondo: partendo dalla tecnologia Telepresence di Cisco, il Palato Italiano ha studiato (in partnership con IBM) e poi brevettato una formula per applicare la teleconferenza in diretta agli incontri culinari. Si chiama Tele-Cooking ed è molto di più di una lezione di cucina virtuale.
Di virtuale anzi c’è ben poco: la Teacher Room, dove insegna Sinisgalli, e quella degli studenti (o per meglio dire degli ospiti), sono collegate da radiomicrofoni e si vedono reciprocamente attraverso un maxischermo che ripropone le dimensioni naturali e altri tre monitor da 47” posizionati strategicamente per permettere la visualizzazione dei dettagli, nel corso della spiegazione di questa o quella ricetta, ma anche di questo o quel prodotto da raccontare. Il tutto orchestrato da un’attenta regia, curata da professionisti della televisione, con tanto di microfoni ambientali a riprodurre tutti gli effetti sonori del lavoro in cucina.
“E’ più di una diretta tv – spiega lo chef che si è formato alla scuola di Gualtiero Marchesi – perché c’è continua interazione. E’ un’esperienza entusiasmante sia per i nostri clienti che per noi: tutto è studiato per dare la percezione di una lezione one-to-one, e gli studenti indossano anche la giacca da chef e la toque, fornite da noi”.
Un’esperienza da fare da soli o anche in gruppo: la sala dell’headquarter di Bolzano adibita a Student Room (che sarebbe più propriamente una guest room) può accogliere fino a 8 persone, che diventano 4 nel casi che si tratti di professionisti della cucina . Per ora tutto si risolve nella sede di Bolzano, dove i clienti potrebbero anche assistere a lezioni dal vivo, ma talvolta questa formula “aiuta, ad esempio, le persone più timide o inesperte”, rivela Sinisgalli.
E’ anche un modo per fare gruppo, e non sempre si tratta tecnicamente di lezioni ma di approfondimenti e promozioni di piatti e prodotti. “Non sono propriamente lezioni – conferma lo chef – ma esperienze professionali e didattiche che offriamo a curiosi, appassionati, operatori del settore ma anche aziende che non c’entrano nulla col cibo. Ci contattano dalle direzioni aziendali delle Risorse Umane e mandano qui gruppi per fare il cosiddetto team building. Ci è capitato anche con aziende importanti e internazionali”. Il costo per una giornata intera nel quartier generale di Bolzano, “con lo staff a completa disposizione e la possibilità di usufruire di tutte le strutture”, oltre che di assaggiare le prelibatezze cucinate dagli esperti del club, è di 400 euro a persona, customizzabile a seconda delle situazioni.
“L’idea – racconta Sinisgalli – è venuta a Luciano Bertani (imprenditore dell’autotrasporto che ha diversificato i suoi investimenti nel campo dell’ospitalità ed è cofondatore, con la moglie Nadia, del Palato Italiano, ndr), di ritorno da un viaggio d’affari all’estero: la telepresence è già comunemente utilizzato per evitare troppi spostamenti ai manager, ma applicarlo alla cucina poteva sembrare a qualcuno una follia”.
Invece da un anno e mezzo, grazie al Palato Italiano e in anteprima mondiale, è diventato realtà, con centinaia di clienti che arrivano ogni settimana dall’Italia e da tutto il mondo e il progetto di approdare all’estero, per diffondere gli incontri con l’equipe di professionisti guidata da Sinisgalli a migliaia di chilometri di distanza: “Abbiamo già un magazzino a Miami, a breve apriremo anche una sala adibita per la Tele-cooking, e poi punteremo agli Emirati Arabi Uniti, al Giappone e al Regno Unito”.
Target di clienti alto, come alta è la qualità del prodotto e la tecnologia offerta per godere al meglio dell’esperienza. “In realtà io non credo nella cucina alta, ma nella cucina buona”, spiega Filippo Sinisgalli, origini lucane impresse nel sangue e portate anche ai fornelli. Il piatto nel quale si identifica di più è infatti l’uovo croccante: “Un piatto semplice, ma allo stesso tempo complesso. Sono orgoglioso di aver portato alla ribalta un ingrediente comune come l’uovo, che rappresenta la mia terra e la storia della mia famiglia”.
Cresciuto dalla nonna a suon di uovo battuto al Marsala, lo chef del club bolzanino ha codificato la cottura “millimetrica” della seguente prelibatezza: “Tecnicamente è a metà tra un uovo sodo e un uovo à la coque: si deve cuocere solo la parte bianca, l’albume, mentre il tuorlo deve rimanere liquido. Cogliere il punto giusto della cottura è una questione di frazioni di secondo”. Poi l’uovo viene impanato e fritto, e secondo la ricetta proposta da Sinisgalli accompagnato da fonduta di spressa (formaggio DOP del Trentino), slavazzuoi (spinaci selvatici di montagna) e tartufo.
La semplicità e l’alta qualità, soprattutto degli ingredienti, viene riproposta in un’altra specialità di Sinisgalli: gli spaghetti al pomodoro. Il piatto più semplice di tutti, all’apparenza: “Proprio perché è così facile, non viene quasi mai fatto come si deve. La semplicità è negli ingredienti, non certo nell’esecuzione”, spiega lo chef specificando che si parla della cosiddetta “cucina espressa: quella che non può essere preparata prima, perché il vero spaghetto al sugo si fa col pomodoro fresco”.
Pasta di semola di grano duro, pomodori possibilmente San Marzano, basilico e Grana Padano (o Parmigiano Reggiano): basta poco, ma non tutti sanno, ad esempio, che del pomodoro non si butta via niente. Si incide, si mette in acqua bollente per pochi secondi, poi in acqua e ghiaccio, dopodiché si pela ma ne vengono frullate anche le bucce. La foglia di basilico si aggiunge ovviamente a crudo, alla fine, così come il formaggio, che con un ulteriore accorgimento può essere posto ai lati del piatto, grazie alla microplane, una grattugia di precisione.
L’italianità raccontata in un piatto, che ne richiama anche i colori della bandiera. Lo stesso vessillo tricolore per il quale ha lavorato per oltre 10 anni lo chef Filippo prima di approdare al Palato Italiano: ha un passato nella Marina Militare, con la quale ha viaggiato in tutto il mondo, anche per missioni di pace, occupandosi già da allora di cucina e della sua logistica: “Quando sei cuoco vedi il mondo in modo diverso: viaggiare tanto mi ha formato come persona ma ha anche ispirato molti dei miei piatti”.
Ma il top rimane l’Italia: “La varietà e la saggezza popolare che abbiamo qui sono impareggiabili. Volete sapere dove ho mangiato il polpo più buono della mia vita? In un ristorantino di Procida, dove un’anziana signora mi ha spiegato, in dialetto napoletano, che il polpo va cotto senza assolutamente aggiungere acqua. Va cotto nella sua acqua, mi disse. Se ascoltate la dottrina ufficiale, ognuno dice la sua ma qualcosa viene sempre aggiunto durante la cottura. Io invece ho imparato dalla signora di Procida e il piatto ci guadagna”.