La questione Tav è ancora al centro del dibattito politico (e dei contrasti in seno alla maggioranza) mentre si avvicina il momento in cui (l’11 marzo) devono essere pubblicati i bandi di gara per un ammontare di 2,5 miliardi. Con la solita sprezzante irresponsabilità, al Ministero delle Infrastrutture fanno sapere che a loro ‘’non gliene può fregar di meno’’: i bandi possono anche partire ed essere bloccati successivamente.
La risoluzione approvata dalla maggioranza alla Camera non lascia quei margini di mediazione che Matteo Salvini continua a ritenere esistenti. Ma si vedrà nel vertice di oggi se la montagna partorirà almeno un topolino. I tempi si fanno stretti. La recente presa di posizione dei governatori di Piemonte e Lombardia a favore di una consultazione popolare prosciuga il brodo di coltura che fino ad ora ha consentito al Capitano di raccontare in giro che lui vorrebbe, ma non può.
La propaganda pentastellata non dà tregua, come se il completamento dell’opera rispondesse alle pretese delle “peggiori lobby” (sono parole di Giggino Di Maio) che si ostinano a voler costruire – sprecando risorse pubbliche – un pezzo inutile di ferrovia (in pratica un doppione) tra Torino e Lione (una località dove secondo il ministro Danilo Toninelli nessuno avrebbe interesse ad andare). Intervenendo a ciclo continuo i pentastellati descrivono il Tav come un segmento capriccioso che unisce due punti, persi nel nulla su di una carta geografica, e non come la tappa italo-francese di una nuova rete di trasporti a livello trans europeo.
L’analisi costi-benefici redatta (a maggioranza) dalla Commissione Ponti ha lasciato più dubbi che certezze, perché non si è mai visto – come è avvenuto in quel caso – trasformare in costi (minor consumo di benzina, minor traffico su strada, meno emissioni di co2, minori incassi ai caselli autostradali, ecc.) quelli che sono effettivi benefici, per conseguire i quali si fanno le grandi opere pubbliche.
Il Centro Studi bolognese “Manager-Ricerche” diretto da Mario Pàntano sta elaborando un’analisi costi-benefici sulla base di parametri che magari non hanno la pretesa di una base scientifica, ma che mettono in evidenza dati di utilità economica, difficilmente smentibili anche se stranamente non considerati fino ad ora. Ho potuto disporre di prime anticipazioni limitatamente agli aspetti di finanza pubblica che sono, poi, i soli inclusi nel rapporto Ponti.
Lo studio in progress si chiede perché non sono stati affrontati gli effetti in perdita che la cancellazione del Tav avrebbe su contributi, ritenute Irpef ed IVA che lo Stato non incasserà dai lavoratori, diretti ed indiretti, dalle imprese e dai fornitori. Per quanto riguarda i lavoratori, secondo Manager-Ricerche, verrebbero a mancare, in un decennio, circa 1,4 miliardi di contributi e ritenute. Inoltre sull’IVA applicata alle commesse di lavori verrebbe meno, nell’arco di un decennio, un ammontare compreso tra 1,6 ed 1,8 miliardi. Infine l’effetto indotto dei lavori (10 miliardi in 10 anni) dovrebbero dare un moltiplicatore da 3 a 5, quindi dai 30 ai 50 miliardi, con incasso IVA relativa di 5/10 miliardi, senza contare l’effetto-ricaduta sui consumi (e relativa IVA) conseguente alle spese delle famiglie di lavoratori addetti ai cantieri e all’indotto.