La gara al ribasso del prezzo, a volte, è fallimentare. Anche in tempi di crisi. E’ il caso della Tata Nano, la mini auto modello ultrabase che costa solo 2 mila dollari, messa sul mercato nel 2009 e presentata come la vettura che avrebbe trasformato il modo di spostarsi in India e negli altri Paesi in via di sviluppo. Un po’ come la Cinquecento nell’Italia degli anni Sessanta. Peccato che i risultati siano parecchio diversi.
La rivoluzione low cost della quattro ruote è finita male. Poche le vendite nella madrepatria, meno ancora le esportazioni. La storia della Nano è diventata – secondo una recente definizione del Wall Street Journal – “un monito contro le ambizioni fuori luogo”. Nella pratica, il modello è stato una zavorra per le vendite e i profitti della Tata Motors, il quarto produttore auto indiano, che tra l’altro gestisce marchi di lusso come Jaguar e Land Rover.
Sembra che la corsa alla classe media indiana, affamata di auto economiche, sia franata per un malinteso. In realtà, gli indiani volevano sì spendere poco, ma non volevano una macchina che rendesse esteticamente troppo evidente il concetto di low cost. Insomma, preferivano spendere qualcosa in più e avere un auto meno fantozziana nell’aspetto. Qualcosa che non fosse il simbolo del “vorrei, ma non posso”.
Ora la Nano vorrebbe trasformarsi da “auto del popolo” ad “auto del popolo cool”. Ha subito un lifting: ora c’è, addirittura, lo stereo e i cerchioni cromati. Il prezzo, inevitabilmente, è salito ed è partita una nuova campagna pubblicitaria.
Se il remake fallisce, il futuro della Tata potrebbe essere molto più nuvoloso. La casa automobilistica ha già tagliato produzione e posti di lavoro. E in caso di ennesimo flop, il rischio è che ci saranno altri licenziamenti.
La Tata aveva scommesso molto sulla Nano. Aveva speso circa 400 milioni di dollari nello sviluppo del veicolo e altre centinaia di milioni per la costruzione di uno stabilimento in grado di produrre da 15 mila a 20 mila miniauto al mese.
Ma le vendite ora si attestano a 2500 al mese, quando il picco era di 10 mila nell’aprile 2012. Gli ordini, a settembre, sono calati del 40% rispetto all’anno precedente. Nel secondo quadrimestre, i profitti dell’azienda sono scesi del 23% in un anno, nonostante i buoni risultati che arrivavano dalle vendite di Jaguar e Land Rover. A incidere, anche il rallentamento della crescita dell’economia indiana.
“Sarebbe imprudente dire che non siamo preoccupati”, ha commentato – lapidario -Ankush Arora, dirigente di Tata.