Venticinque anni fa moriva Massimo Troisi, maschera meravigliosa della Napoli più bella e poetica, degno erede di Totò ed Eduardo. Nel suo lavoro di addio, “Il Postino”, c’è un passaggio che ho sempre trovato geniale: dialogando con Pablo Neruda, gli confessa di essersi innamorato. Neruda gli risponde paternalmente che non è una cosa grave e che c’è rimedio… e il postino Mario, nella sua immensa semplicità e poesia gli dice: “No, no! Che rimedio, io voglio stare malato…”. Magari con meno poesia, ma anche il mercato sembra sposare l’idea di Troisi, in qualche modo traendo forza da questo ormai perenne e costante stato di “malattia”.
Una condizione di debolezza cronica allontana il momento in cui al convalescente verrà chiesto di alzarsi con le proprie forze e affrontare il percorso di riabilitazione verso il pieno recupero della normalità. Dopo una rovinosa caduta al primo tentativo di rialzarsi, è come se il mercato trovasse conforto nell’idea di una malattia ormai cronicizzata che allontana indefinitamente la possibilità di riprovare a rimettersi in piedi da soli. È come se lo staff medico e l’intera struttura manageriale dell’ospedale si fossero resi conto che la condizione del paziente è troppo fragile per poter correre il rischio di farlo andare avanti con le proprie gambe: ecco la promessa nemmeno troppo velata di un nuovo giro di antidolorifici e antibiotici al primo sintomo di ricaduta. Quindi l’idea di una Fed pronta a tagliare i tassi e in questo momento un Treasury decennale crollato al 2% non spaventa, ma sostiene un mercato che “vuole rimaner malato”.
Del resto se incorporiamo l’aspettativa che i tassi bassi non siano più un elemento tattico e quindi frutto di un intervento forte ma circoscritto nel tempo, e che divengano strutturali e inevitabili in un mondo senza crescita e senza inflazione, l’intera logica su cui si basa la valuation degli asset finanzari viene completamente stravolta. Così ad esempio tutto ciò che appariva carissimo solo sei mesi fa, in un grande schema globale di normalizzazione dei tassi, diviene oggi straordinariamente appealing. Ovviamente però un contesto di crescita bassa fa fisiologicamente aumentare il rischio idiosincratico in un ciclo economico che inizia a dare inevitabili segni di affaticamento.
L’equilibrio tra rischio di credito crescente, tassi nominali non sufficienti a compensare adeguatamente l’investitore nel medio periodo e la contestuale presenza di tassi reali negativi che spingono forzosamente verso forme di investimento che, per durata o per qualità di credito riescano ad offrire ritorni ex ante positivi, crea un corto circuito logico in cui l’investitore razionale fa fatica a trovare il corretto posizionamento. La coperta appare inevitabilmente corta e l’equilibrio impossibile, come in un quadro di Escher: nella nuova realtà dei mercati il ruolo del genio grafico di Escher, che rende possibile l’impossibile, viene giocato dalle Banche Centrali con la loro rinnovata promessa di sostegno quasi incondizionato. È così che il sell off di maggio torna ad essere un’occasione di acquisto e il mercato torna a farsi forza della propria fragilità.
Del resto, in questo Goldilocks trade del 2019, appare piuttosto chiaro che il tema dominante rimane la cautela e gli operatori si muovono adagio, con piccoli e graduali aggiustamenti del posizionamento: le ferite dello scorso anno appaiono ancora troppo fresche e profonde perché si ricostruiscano lunghi convinti. Rubando ancora a piene mani nella filmografia di Troisi, è come se il mercato, nella scelta tra un giorno da leoni o cento da pecora, avesse optato per cinquanta giorni da orsacchiotto.
L’articolo è tratto dalla rubrica “Pensieri in Libertà” sul sito di Kairos Partner.