Una larga parte del circuito finanziario internazionale è da tempo caratterizzata da tassi d’interesse negativi. Aperto dalle banche centrali di Svezia e Danimarca, questo inusuale scenario ha conquistato una dimensione internazionale dal giugno 2014 con la decisione della Bce di posizionare in territorio negativo la remunerazione corrisposta sui depositi overnight ricevuti dalle banche. Nel febbraio scorso questo orientamento è stato condiviso anche dalla Bank of Japan.
La Federal Reserve, invece, continua a remunerare positivamente le riserve in eccesso di cui sono titolari gli istituti di credito. Malgrado sia stato accresciuto l’onere richiesto (a -0,40% dal marzo scorso) i depositi delle banche dell’eurozona presso la Bce sono aumentati a livelli record. A determinare questo andamento è il crescente ammontare dei titoli sovrani con rendimenti negativi, conseguenza delle politiche di acquisto da tempo attivate da numerose banche centrali (Bce e BoJ in testa). Da qualche mese anche nel mercato dei corporate bond si osserva una forte caduta dei rendimenti.
Con il passare dei mesi cresce il dibattito sull’opportunità e l’efficacia di questo orientamento di politica monetaria. Chi lo sostiene sottolinea che la discesa dei rendimenti finanziari non è fenomeno recente ma ha avuto inizio alcuni decenni fa: il problema non sono i tassi bassi ma la deflazione che se protratta rende insostenibile qualunque forma di debito. Viceversa, chi assume una posizione critica ritiene che le scelte della Bce minano le prospettive di sviluppo dell’eurozona perché impediscono il dispiegarsi del “processo di distruzione creatrice”, quello cioè che porta all’eliminazione delle imprese senza prospettive e al contempo apre spazi di sviluppo alle imprese dotate di potenziale innovativo.