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Tasse: le riforme a getto continuo destabilizzano il Fisco

FIRSTonline

Il Fisco italiano è un caos e il rapporto con i contribuenti, nonostante i numerosi tentativi di “riconciliazione” è più teso che mai. L’elevato livello di tassazione diretta e indiretta che contraddistingue il nostro Paese rende cittadini e imprese sempre più insofferenti nei confronti del sistema. Cosa fare?

Occorre fare le riforme”. Un mantra che ci sentiamo ripetere a cadenza regolare da tutti i Governi che si succedono al potere. Occorre riformare qualsiasi cosa, non solo il fisco, ma anche il lavoro, la sanità, la giustizia, le pensioni. Ma siamo davvero sicuri che sia davvero questo ciò di cui ha bisogno il Paese? Guardando ai numeri sembrerebbe di no.

“Negli ultimi 20/25 anni, il sistema della giustizia, con riferimento alle imprese, ha avuto 12 riforme. L’ordinamento per le crisi d’impresa ha conosciuto 7 riforme. Anche il mercato del lavoro ne ha avute 7. Il sistema pensionistico, che dovrebbe assicurare tranquillità alle persone anziane uscite dal lavoro e alle imprese che devono gestire il loro personale, ha avuto 5 riforme. Che dire poi del fisco? Il sistema di tassazione delle imprese ha visto susseguirsi 9 riforme rilevanti (quasi una ogni due anni)”. Questi i dati forniti dal presidente di Assonime, Innocenzo Cipolletta, nel corso dell’assemblea biennale dell’Associazione che riunisce le società per azioni. Le riforme dunque in Italia si fanno, il problema è il come questi cambiamenti vengono attuati e soprattutto il loro scopo. Prendendo come esempio proprio il Fisco, Cipolletta ha spiegato che “il settore dell’ordinamento che più in questi ultimi vent’anni è stato oggetto di continue e minuziose modifiche è quello tributario”. Cosa si è ottenuto? “Un sistema fiscale caotico e continuamente mutevole, privo di quel chiaro disegno di policy di lungo periodo”.

Il motivo è presto detto: secondo Assonime, le riforme attuate spesso e volentieri mirano più a “cancellare e sostituire quanto fatto dal governo precedente” che a “porre fine all’irrazionalità del sistema”.

Nella relazione su “L’economia italiana tra riforme e regressioni”, l’Associazione passa in rassegna le continue modifiche normative che hanno caratterizzato il Fisco italiano.

Si parte dalla riforma Tremonti del 2003, cui si riconosce un tentativo tangibile di “riassetto sistematico e semplificazione” e si arriva ai “numerosi ripensamenti” che negli anni hanno caratterizzato l’esistenza dell’Ires, fino alla riduzione dell’aliquota dal 37% al 28,5% (nel 2008) e poi al 24% nel 2017. E che dire dei ripetuti interventi volti a favorire gli investimenti e la patrimonializzazione delle imprese: dal Dit (Dual Income Tax) di Visco all’agevolazione Tremoti, arrivando fino all’Ace, a sua volta sostituita con una sorta di dual tax “limitata a specifici acquisti di beni strumentali e incrementi di occupazione”, sottolinea Cipolletta.

Non meno caotico l’universo delle imprese individuali soggette a Irpef. Era stata creata l’Iri – più volte annunciata e mai entrata in vigore – salvo poi optare per il regime forfettario al 15% fino a 65mila euro che, secondo Assonime, “spezza arbitrariamente la curva progressiva dell’Irpef, creando disomogeneità”, ma che soprattutto “induce a non dichiarare i redditi professionali e d’impresa che possono comportare il superamento della soglia di 65mila euro.

In questo continuo modificare ciò che era già stato modificato allo scopo di “modificarlo meglio” non si è salvata nemmeno l’Irap. L’imposta regionale sulle attività produttive ha subito tante e tali modifiche da aver “perso la sua originaria natura di imposta sul valore della produzione”, si legge nella relazione di Assonime.

Impossibile poi non parlare delle agevolazioni fiscali in vigore, sulle quali il giudizio dell’Associazione guidata da Cipolletta non lascia margine di dubbio.  Sono tantissime “di scarsa efficacia e spesso con costi elevati per il gettito”.

Questo il volto, caotico, complesso, persino schizofrenico, del sistema fiscale italiano, in cui ogni due anni si butta giù tutto senza una vera e propria pianificazione di lungo termine.

Torniamo dunque alla domanda iniziale: servono davvero riforme? Secondo Assonime “gran parte delle riforme che servono all’Italia non richiede nuovi interventi normativi. La vera sfida è quella di assicurare la buona gestione degli assetti esistenti, la graduale ma costante semplificazione degli istituti, un quadro giuridico più stabile e maggiore attenzione per la qualità delle leggi e della dirigenza della pubblica amministrazione.

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