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Tasse anti-web: forcing di Ecofin

Al via il 15 settembre la due giorni a Tallinn dell’Eurogruppo e dell’Ecofin: sul tavolo, fra i temi, il dibattito sulla Web Tax. La presidenza estone non condivide però l’impostazione proposta, indicando la possibilità di tassare le società partendo dal numero dei clienti e/o dei contratti in essere nei differenti paesi. Nel mirino Apple, Amazon, Google e Facebook

Tasse anti-web: forcing di Ecofin

La proposta avanzata dai 4 paesi promotori – Italia, Francia, Germania e Spagna – prevede una tassazione fondata sui ricavi realizzati con il traffico digitale e solamente oltre un determinato tetto, lasciando indietro così un sistema basato sulla tassazione dei profitti. 

L’industria del digitale, considerando la sua natura immateriale, riesce a sfuggire alla tassazione legata al luogo di residenza. 

Stando a quanto spiega una fonte francese, non si tratta di “creare una sovrattassa, ma semplicemente di far pagare alle imprese imposte che corrispondano alle loro attività reali condotta nei vari paesi: pensiamo a una tassa fra il 2 e il 6% del volume d’affari, tale da non superare l’importo che queste società dovrebbero pagare a titolo dell’imposta sui profitti”.  

La presidenza estone dell’Ecofin indicherà la necessità di rivedere la definizione di “residenza permanente o stabile” di una società del settore digitale: “anche senza una presenza fisica – sottolinea la presidenza – un business con una presenza digitale significativa potrebbe essere obbligata ad avere una ‘presenza permanente virtuale’ in una giurisdizione per rispettare le regole sulle tasse societarie, incluse le regole sull’attribuzione dei profitti”. 

La web tax è già realtà in alcuni Paesi. Nel 2015, nel Regno Unito, fu varata una tassa sui profitti che si fonda sull’attivita’ presunta nel territorio (aliquota 25% superiore di 5 punti percentuali all’aliquota per le società). 

L’Italia nel 2016 ha varato l’imposta unica del 6% sulle cessioni di beni e servizi effettuati da soggetti non residenti e nell’ultima manovra finanziaria di giugno ha introdotto una specie di ‘compliance’ volontaria per le impresa digitali che hanno un fatturato superiore a 50 milioni di euro

 

 

 

 

 

 

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