Non si può più parlare di singoli episodi o di semplice protesta degli ambientalisti. Il Tap, il gasdotto che collegherà l’Italia all’Azerbaijan, si sta trasformando in una nuova Tav e la contestazione all’avanzamento dei lavori ha preso le forme di una vera e propria guerriglia dove ai comitati locali si affiancano attivisti infiltrati dal mondo degli antagonisti di sinistra e dell’area anarchica. Gli stessi No Tav dalla Val di Susa ora sono scesi in Puglia. Il cantiere è blindato e gli operai, tecnici, ingegneri vengono scortati di notte per raggiungere il posto di lavoro. Un crescendo di tensione, da novembre in poi, il cui obiettivo è chiaro quanto illegale: impedire o ritardare oltre misura la costruzione di 8 chilometri di tracciato – tutto sotterraneo, perciò invisibile e quindi in linea con la tutela del paesaggio – in Puglia a Melendugno, non lontano da Lecce.
UN GASDOTTO CHE NE CONTIENE TRE
Per capire l’assurdità della situazione che si è venuta a creare, bisogna innanzitutto cercare di fare un po’ di chiarezza. Stiamo infatti parlando di un gasdotto che è lungo complessivamente 4000 chilometri, parte dall’Azerbaijan, traversa la Georgia e dalle sponde del Mar Caspio (Gasdotto Sud Caucasico), arriva in Turchia (Gasdotto Trans Anatolico) e da lì passa in Grecia (550 km) e Albania (215 km), attraversa il mare (105 km) fino all’Italia (8,2 km) per congiungersi alla rete di Snam che ne è anche azionista al 20%. Quest’ultimo tratto italo-greco-albanese si chiama Trans Adriatic Pipeline (Tap). A fine 2017 il 65% dei lavori risulta completato: l’Albania ha realizzato il 78% dei lavori sulle strade di accesso, la Grecia di Alexis Tsipras avanza con la posa dei tubi malgrado le proteste macedoni, l’Italia invece fa una gran fatica. Il progetto coinvolge 7 Paesi, ha un valore di 45 miliardi di dollari e servirà a portare 10 miliardi di metri cubi di gas l’anno da un nuovo fornitore, l’Azerbaijan, riducendo quindi l’esposizione dell’Italia (ma anche dell’Europa) dalla Russia che assicura attualmente quasi la metà dei 70 miliardi di metri cubi che consumiamo ogni anno.
Come si diceva, gli 8 km del tracciato italiano saranno invisibili in quanto interamente interrati ad almeno 1 metro e mezzo sotto il terreno. Ma soprattutto, un tunnel sotterraneo, alla profondità di oltre 10 metri, partirà a 600 metri nell’interno e passerà sotto la spiaggia di San Foca, proseguirà per 800 metri dalla costa dopodiché i tubi poggeranno sul fondale marino fino alla costa albanese. Tap contribuirà con 3 milioni l’anno di interventi ambientali e verserà di Imu, Tares e Tasi circa 500 mila euro l’anno per 50 anni, ponendosi così come il primo partner del Comune di Melendugno.
LA GUERRIGLIA E IL CANTIERE DELLA PAURA
Dopo la battaglia contro l’espianto di 231 ulivi che ha tenuto bloccato il cantiere tra aprile e agosto, quando il Consiglio di Stato ha definitivamente bocciato il ricorso della Regione Puglia e il cantiere è potuto ripartire, sono riprese le proteste e gli atti vandalici con un’escalation che non è sfuggita all’osservazione dei servizi di intelligence nazionali. La relazione del Dis (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza) presentata in Parlamento a fine 2017 dice testualmente: “Il fronte dell’opposizione, composto anche da formazioni del locale antagonismo di sinistra, ha fatto registrare un’intensificazione delle mobilitazioni “(…). “Nella parte finale dell’anno, alla ripresa dei lavori, si è assistito ad un ulteriore acutizzazione della protesta, dovuta anche al sostegno di attivisti No Tav e di esponenti dell’area anarchica accorsi in loco per contestare la militarizzazione della zona circostante il cantiere”. Altro che ambientalisti, dunque. Qui si parla di attivisti No Tav, frange anarchiche, antagonisti di sinistra infiltratisi sul posto.
Dall’inizio di novembre 2017, in coincidenza con la ripresa della potatura degli ulivi – custoditi in sicurezza e coperti – lungo gli 8 km di pista interessati alle opere di collegamento tra l’area del micro tunnel e quella che ospiterà il terminale di ricezione (Prt), sono ripartite le azioni di opposizione al Tap. Il mese è stato costellato da azioni che vanno dal lancio di razzi contro le auto della società di vigilanza al cantiere, all’ assalto di No Tap agli uiffici della società a Melendugno: urla, videocamere messe fuori uso, scritte, lancio di uova. E poi manifestazioni spontanee per le vie di Lecce con sit in davanti alla prefettura e tentativo di blocco del traffico; attacchi alle sedi Pd con spray e vernici; irruzione No Tap nel rettorato dell’Università del Salento durante un convegno (poi sospeso) con relatori zittiti. L’escalation è proseguita con atti intimidatori contro docenti (“Prof Boero complice Tap”: il professore è biologo-ecologo e ha semplicemente condotto alcune ricerche sul Tap), manifestazioni nel centro di Lecce, lancio di uova negli uffici della società del gasdotto, assemblee e cortei verso la “Zona Rossa” che ospita il cantiere, fumogeni e lanci di pietre contro la recinzione, tentativi di blocco del traffico, manifestazione dell’associazione Terra Mia contro la Regione e i politici locali accusati di “ambiguità” nei confronti dell’opera.
Insomma un crescendo di tensione proseguito in dicembre e gennaio che ha portato anche allo stato di fermo per 52 attivisti No Tap impegnati nelle “camminate” verso la zona del cantiere. E ancora: betoniere bloccate, tentativi di abbattere i cancelli, lanci di pietre all’interno delle recinzioni. Nuove aggressioni il 25, 29 e 30 gennaio. E in febbraio, gli attivisti bloccano uomini e mezzi utilizzando chiodi e sassi lungo la strada che porta al cantiere.
Contro l’escalation di azioni la società del gasdotto ha presentato diverse denunce. Ma quel che preoccupa, accanto alle proteste messe in atto dai comitati locali, è l’avanzata delle frange anarchiche che si esprimono anche attraverso siti dedicati dove si possono leggere frasi di questo tipo: “Opporsi al Tap non è solo difendere un pezzo del territorio dall’aggressione di un’opera che serve unicamente a chi la progetta e la realizza ma può diventare l’opposizione al sistema globale dello sfruttamento”. Con l’intento dichiarato di utilizzare il gasdotto “per far detonare la protesta, perché per bloccare il Tap occorrono azioni dirette non ricorsi al Tar o petizioni”.
Di fronte a tutto questo e nonostante il Tap abbia superato tutte le procedure autorizzative sia a livello locale che nazionale, dopo la presentazione di una montagna di documenti depositati e di esami – innanzitutto quelli ambientali – superati; e dopo un numero di ricorsi e controricorsi al Tar – non ultimi quelli sull’espianto di un centinaio di piante di ulivi – persi la scorsa estate da chi voleva opporsi all’infrastruttura, la Regione Puglia, guidata da Michele Emiliano, ha pensato bene di cavalcare la protesta anziché svolgere il suo ruolo istituzionale per informare e fare conoscere l’infrastruttura agli abitanti, i suoi pro e i suoi contro, disinnescando le diffidenze e le paure. Comportamento grave anche perché mosso da ambizioni personali in chiave anti-renziana e tutte interne al contenzioso interno al Pd tra maggioranza e opposizione.
Il risultato è che a Melendugno si va al lavoro all’alba, in colonna e sotto scorta armata, come ha documentato il réportage di Jacopo Giliberto pubblicato il 22 febbraio dal Sole 24 Ore. Un cantiere illuminato, per ragioni di sicurezza, “come uno stadio in notturna”.