Lo sciopero generale, in Italia, sta divenendo un evento stagionale, una specie di sagra del tartufo, che si svolge secondo un calendario disposto con i tempi di due sindacati: la Cgil e la Uil; mentre la Cisl sembra non avere più interesse per queste esibizioni muscolari. Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri, i segretari generali della Cgil e della Uil, non si preoccupano neppure di trovare delle motivazioni specifiche; a loro basta proseguire quello che chiamano – con l’aria da strateghi – un programma di mobilitazione, consistente nella proclamazione di almeno uno sciopero generale e nell’organizzazione di una grande manifestazione nazionale nel primo semestre dell’anno, per prepararsi ad un autunno di lotta nel contesto della manovra di bilancio, quando il ricorso allo sciopero generale sembra essere ormai divenuto uno degli adempimenti scadenzati per portare a termine il relativo disegno di legge.
Se leggiamo quanto scrivono sui loro siti i sindacati si ha la sensazione di un piano predisposto in astratto a prescindere da quanto potrebbe intervenire nel frattempo. ‘’Il primo appuntamento – si legge su Collettiva, il quotidiano web della Cgil – sarà giovedì 11 aprile, data scelta da Cgil e Uil per uno sciopero generale di quattro ore in tutti i settori privati, otto in quello dell’edilizia, con manifestazioni ed iniziative territoriali a sostegno delle comuni rivendicazioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, giusta riforma fiscale, nuovo modello di fare impresa, contrasto alla precarietà e rinnovo dei contratti nazionali’’.
Agenda sindacale: quando la lotta diventa stagionale
Come si vede i sindacati seguono una propria agenda, dove è dato per scontato un dissenso con il governo in carica (anche l’esecutivo presieduto da Mario Draghi non riuscì ad evitare un’astensione generale dal lavoro, benché nelle motivazioni i sindacati assolvessero il presidente del Consiglio riversando le responsabilità sui ministri e la ‘’strana’’ maggioranza di unità nazionale).
L’anno scorso Landini iniziò a parlare dello sciopero generale – da effettuare durante la sessione di bilancio – già nel mese di luglio, quando il governo non aveva ancora uno straccio d’idea sui contenuti della manovra. La novità di quest’anno sta nella decisione di posporre la grande manifestazione popolare allo svolgimento dello sciopero, perché il momento della piazza, della manifestazione nazionale – con l’appello al popolo – è calendarizzata, a Roma, per il 20 aprile per i soliti temi generici che vanno bene in tutte le occasioni.
La grande manifestazione: Napoli come campo di battaglia
Ma il colpo di scena ci sarà il 25 maggio, quando si svolgerà una grande manifestazione nazionale a Napoli promossa dalle associazioni aderenti alla “Via Maestra” (la galassia che ruota intorno alla Cgil) contro il premierato e l’autonomia differenziata, per la realizzazione dei diritti al lavoro, alla salute, alla conoscenza, ad una previdenza universale sanciti dalla nostra Costituzione, per la pace e per fermare ogni guerra. Come si vede si tratta di un elenco di titoli altisonanti che rievocano l’ologramma dei fratelli Capone (impersonati da Totò e Peppino De Filippo) mentre si cimentano con la dettatura e la scrittura della celebre lettera cinematografica. Ci sono però dei fatti nuovi: il sindacato scende in campo insieme con altri “compagni di strada” (in altre occasioni Landini ha evocato l’adesione di oltre 100 associazioni) per contestare interventi di natura istituzionale che sono prerogative del Parlamento. È questo il mestiere di un sindacato? Certo il sindacalismo confederale vanta una vocazione ‘’generale’’ che non si sottrae alla politica.
Sindacato contro partito: il duello delle strategie
La differenza sta nei contenuti e nelle metodologie dell’iniziativa che contraddistinguono un sindacato e un partito. Il primo negozia con le controparti (padroni e governo) le condizioni del rapporto di lavoro dei soggetti che rappresenta come attività specifica senza escludere mai una partecipazione da protagonista sui temi dell’economia e del vivere civile di un Paese per le loro ricadute sulle classi lavoratrici. Il partito, da solo o in coalizione con altri, si candida alla guida di una comunità chiedendo un consenso per il programma che porta avanti – tanto in posizioni di maggioranza quanto di opposizione – nell’esercizio delle funzioni esecutive e legislative.
Da tempo la Cgil ha spostato l’iniziativa rivendicativa sulla politica e sui governi, a volte condizionandone l’orientamento tanto nel fare quanto nel non fare, altre volte contestandone le scelte. In sostanza, la “Via maestra” passa da Palazzo Chigi, privilegia le politiche pubbliche (rigidamente di spesa). Se un sindacato dimentica le sue naturali controparti anche quando fanno profitti, limitandosi a chiedere che il governo le sottoponga ad una tassazione più elevata, abdica alla sua principale funzione che è quella di distribuire quei profitti anche ai lavoratori, attraverso la contrattazione collettiva.
Referendum sul lavoro: il futuro della protesta sociale
L’ultima raffica del sindacalismo che – per essere moderni – potremmo definire “transgender” (in transizione verso la natura di partito politico) è l’apertura di un’ampia campagna referendaria sui temi del lavoro che nelle intenzioni della Cgil dovrebbe coprire il fronte sociale della probabile battaglia – anche essa referendaria ma confermativa – che le opposizioni promuoveranno sul terreno istituzionale contro le riforme del premierato e dell’autonomia differenziata.
Per fare massa critica è ritenuta senz’altro necessaria una tematica che vada oltre le questioni istituzionali. La decisione di un’ampia offensiva referendaria, di iniziativa sindacale, è stata sofferta, tanto da essere stata rinviata un paio di volte, prima dell’approvazione da parte dell’Assemblea nazionale Cgil del 27 febbraio; all’interno della Confederazione, in particolare nei gruppi dirigenti delle federazioni di categoria, vi erano (e rimangono ora in silenzio) delle forti e motivate perplessità nell’avventurarsi in una impegnativa campagna referendaria, con il rischio di non raggiungere il quorum come è avvenuto in altri casi (sull’articolo 18). Ma il leader della Cgil intende sfidare la destra in nome di un’alternativa globale (istituzionale, politica, economica e sociale) con l’obiettivo di ribaltare uno scenario costruito in arco temporale lungo e ad opera di altri governi diversi dall’esecutivo Meloni (anche appartenenti alla sinistra “deviata” accusata di aver tradito i lavoratori) e di “uscire dall’emergenza cambiando il modello di sviluppo”.
La lunga partita della sinistra: referendum, strategie e tempi lunghi
Una prospettiva che deve consentire alla sinistra politica e sindacale, con il collante della Cgil e dei suoi cari armati (per dirla con Stalin in riferimento al Papa) di stare in campo contro il governo per tutto il tempo necessario, anche se fosse per tutta la durata della legislatura. Infatti, la strategia delineata richiede, anche a livello pratico, tempi lunghi come quelli occorrenti al governo per realizzare il suo programma e tallonarlo da vicino. La Consulta giuridica della Confederazione, sulla base del mandato ricevuto dall’Assemblea, ha individuato quattro aree di quesiti referendari: le prime due sui licenziamenti, una sul superamento del contratto a tutele crescenti (vile! Tu uccidi un uomo morto!) e l’altra sull’indennizzo nelle piccole imprese, la terza sulla reintroduzione della presenza delle causali per i contratti a termine (non si sono accorti che il causalone lo ha reintrodotto la ministra Calderone); l’ultima, relativa agli appalti, sulla responsabilità del committente sugli infortuni sul lavoro.
Verso il giudizio universale: il futuro della politica sociale
Dopo il deposito dei quesiti in Cassazione, i controlli previsti dalle procedure vigenti e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, partirà la raccolta delle firme. Tale iniziativa – dicono a Corso D’Italia – sarà sostenuta da assemblee in tutti i luoghi di lavoro e in tutti i territori, per costruire (ci mancherebbe!) un vasto arco di alleanze sociali, e sarà completata da proposte di legge d’iniziativa popolare su lavoro, rappresentanza, povertà e salute. La Cgil, poi, non esclude di scendere in campo contro la legge sull’autonomia differenziata e le altre riforme istituzionali volute dal governo e dalla maggioranza, se e quando fossero approvate e sottoposte a referendum confermativo. Altrimenti agirà di propria iniziativa.
Poi verrà il giorno del Giudizio universale: per un’alternativa globale (istituzionale, politica, economica e sociale) rispetto a quella voluta dalla destra.