“Sulla base degli studi condotti su crisi di singoli Paesi analoghe a quella che stiamo vivendo, tra noi economisti c’è la generale convinzione che la crisi durerà sette anni. Ma più si va avanti e più crescono i dubbi , anche perché questa crisi si differenzia dalle altre soprattutto perché non è limitata a un solo Paese ma è globale. Le racconto un aneddoto che fotografa lo stato di incertezza che anche gli economisti stanno vivendo. Qualche tempo fa un giornalista chiese al Governatore della Bank of England quanto potesse durare la crisi e Mervyn King risposte puntualmente :“Sette anni” . Ma il giornalista, volutamente o no, fraintese la risposta e, rivolgendosi a un altro banchiere centrale di cui non rivelerò il nome, esclamò: “Settant’anni di crisi”. Sa che cosa successe? Che il secondo banchiere centrale inarcò le sopracciglia ma non smentì. Dunque : 7 anni o 70 anni di crisi? Oggi nessuno lo sa con certezza”. Questo aneddoto che Angelo Tantazzi racconta a Villa d’Este, a margine del workshop Ambrosetti , la dice lunga sull’incertezza che la crisi sta seminando anche tra gli economisti. Sette anni o settanta? Chissà. Ma ecco l’analisi e le terapie di Tantazzi, economista di scuola bolognese e presidente di Prometeia e fino a pochi mesi presidente della Borsa italiana.
FIRSTONLINE – Professor Tantazzi, il workshop Ambrosetti di Villa d’Este è tradizionalmente il barometro dell’economia in Italia e nel mondo e dal 2007 il barometro della crisi: quest’anno che cosa emerge di nuovo ? In Italia e nel mondo è ineluttabile il peggioramento della crisi o c’è qualche segnale di speranza?
TANTAZZI – Quest’anno qui a Villa d’este si respira l’aria di un nuovo generale rallentamento dell’economia nel mondo, ma anche la consapevolezza che non si tratta solo di una fase congiunturale difficile perchè stanno venendo al pettine nodi molto profondi che cambiano completamente gli scenari che immaginavano. A poco a poco si sta prendendo coscienza – purtroppo più a livello di società e di popolazioni che di classi dirigenti e di governi, almeno a giudicare dal caso italiano – che abbiamo vissuto a lungo al di sopra dei nostri mezzi accumulando una montagna di debiti e che in futuro il tenore di vita sarà irrimediabilmente inferiore a quello che abbiamo conosciuto finora.
FIRSTONLINE – Per quali ragioni?
TANTAZZI – Perché la crisi ha sconvolto i tradizionali paradigmi economici e nessuno ha ancora scoperto la teoria e la pratica giusta per risolvere un teorema quasi insolubile: come si fa a crescere in un’economia dominata da un debito assillante? Finora questa contraddizione non era esplosa perché il debito non coinvolgeva tutto l’Occidente, ma la crisi ha cambiato le carte in tavola e generalizzato il debito, che è ovunque alto anche se non della stessa entità per tutti. Poi c’è una seconda ragione, scomoda e amara al tempo stesso.
FIRSTONLINE – Dica, dica…
TANTAZZI – La verità è che crescere vuol dire cambiare, ma non a tutti fa comodo il cambiamento. E’ più facile galleggiare, ma così non si fa molta strada e rischiamo di andare a sbattere. Il caso italiano è emblematico: tutti sanno che cosa occorrerebbe fare per rilanciare l’economia, ma quel che serve non si fa e forse non hanno torto i cinesi quando dicono che “l’Italia è il Giappone d’Europa”.
FIRSTONLINE – In che senso l’Italia è il Giappone d’Europa?
TANTAZZI – Nel senso che siamo un Paese ingabbiato che galleggia declinando o, se preferisce, che declina galleggiando. C’è una parte della società che se la passa discretamente e che non ha alcun interesse a cambiare e c’è una parte crescente – soprattutto di nuove generazioni – che è esclusa dal benessere e che ha poche speranze perché il Paese non cresce, non crea nuovi posti di lavoro e produce meno reddito.
FIRSTONLINE – Usciremo dal tunnel?
TANTAZZI – Non è facile, ma per prima cosa bisognerebbe compiere una grande operazione-verità. Il Governo dovrebbe parlar chiaro agli italiani e dire senza mezzi termini come stanno le cose. In secondo luogo, bisogna che il Paese si convinca che non ci sono più santuari intoccabili: se vogliamo uscire dalla crisi e tornare a crescere riducendo il debito pubblico, bisogna rimboccarsi le maniche e bisogna che ognuno di noi rinunci a qualcosa. Però, attenzione: in democrazia, io credo che la gente sia disposta a fare sacrifici ma solo se sono equi e soprattutto se servono e se i traguardi sono chiari e ben visibili. Non si può chiedere alla gente e soprattutto ai più deboli di fare sacrifici al buio.
FIRSTONLINE – Al punto in cui siamo arrivati c’è chi sostiene che in Italia e in Europa siamo alla vigilia di una nuova tempesta, come segnalano i pesanti ribassi della Borsa e l’allargarsi dello spread tra Btp e Bund. Ma se l’Italia diventasse insolvente salterebbe anche l’euro e l’Europa: paure o realtà?
TANTAZZI – Finché i mercati non capiranno che cosa vogliamo realmente fare, a partire dalla manovra, vivremo certamente giornate difficili e li vivrà l’Europa se la Finlandia non smetterà di giocare con il piano di sostegno alla Grecia e se la Germania, complici le elezioni nei Lander, non uscirà dall’incertezza sull’opportunità degli acquisti di Btp e Bonos da parte della Bce e sul reale decollo del piano salva-stati. I prossimi giorni saranno decisivi per tutti, ma francamente non credo che si arriverà alla crisi dell’euro.
FITRSTONLINE – Perché non lo crede?
TANTAZZI – Perché, se saltasse l’Italia, subito dopo toccherebbe alla Francia e dopo alla Germania, ma a quel punto anche i tedeschi più miopi finirebbero per svegliarsi. Come diceva Churchill, penso che i tedeschi faranno le cose giuste dopo aver fatto tutte le cose sbagliate.
FIRSTONLINE – Speriamo che lei abbia ragione e che prevalga la razionalità, ma se così non fosse e se l’euro andasse in crisi, quali sarebbero le principali conseguenze per l’Italia?
TANTAZZI – Dovremmo accollarci costi enormi e fare sacrifici terribili. Pensi una sola cosa: uscendo dall’euro e dall’Europa, il nostro debito pubblico resterebbe denominato in euro e se, di conseguenza, la nuova lira si svalutasse paurosamente, dovremmo sostenere oneri impossibili per il pagamento di un debito sempre più mostruoso.
FIRSTONLINE – Lei è stato fino a qualche mese fa il presidente del Borsa italiana che vive giornate amare per il continuo deprezzamento dei titoli, molti dei quali paradossalmente valgono la metà del loro patrimonio: da 1 a 10 quanto è probabile che dall’estero capitali stranieri scalino a prezzi di saldo le migliori delle nostre società? E in quel caso come potrebbe realisticamente rispondere il sistema Italia?
TANTAZZI – Qualche acquisizione dall’estero non si può escludere e non è detto che sia sempre negativa, ma un’operazione di colonizzazione generale non è nell’ordine delle cose possibili e nemmeno probabili. Per due ragioni, una di fondo e una più tecnica. La ragione di fondo è che i capitali stranieri non hanno nessuna convenienza ad investire in un Paese a bassa crescita: troppo rischioso immobilizzare capitali rilevanti senza avere la certezza di comprare crescita e profitti. Paradossalmente, la nostra poca crescita fa da deterrente alle scalate straniere. Poi si aggiunge una ragione tecnica dovuta al fatto che molte delle nostre società hanno ancora avviamenti pazzeschi e straordinariamente alti che andranno ridimensionati, come di recente ha cominciato a fare anche Telecom Italia: gli asset di molte nostre società valgono molto meno di quanto non dicano i bilanci. In altre parole, i mercati scontano già il ridimensionamento degli asset di molte società ed è per questo che spesso la capitalizzazione di Borsa è più bassa del patrimonio, mentre i bilanci sono ancora gonfiati e devono essere ancora rivisti verso il basso.
FIRSTONLINE – L’ultimo scenario previsivo di Prometeia sull’economia Italia segnala un ulteriore peggioramento con una crescita del Pil che scende allo 0,7% nel 2011 e addirittura allo 0,2-0,3% nel 2012: per risalire la china è più importante azzeccare qualche intervento economico (come ad esempio la cosiddetta svalutazione fiscale di cui parla Paolo Onofri: meno oneri contributivi per le imprese e più Iva sui beni di consumi) o puntare tutto sul recupero di fiducia con una netta discontinuità politica?
TANTAZZI – Sono importanti entrambe le cose. La cosiddetta svalutazione fiscale è una misura saggia che può aiutare la crescita ma ovviamente da sola non basta. Non basta abbozzare una manovra teoricamente giusta se chi è chiamato a gestirla non è credibile. A questo punto una giusta manovra di rilancio della crescita e di riduzione del debito può contribuire a ridare fiducia all’Italia solo se si accompagna a una qualche forma di discontinuità politica. Per recuperare la fiducia dei mercati, ci vuole una scossa, in tutti i sensi.
FIRSTONLINE – Se le cose stanno come dice lei, come sarà l’autunno in Italia?
TANTAZZI – Purtroppo sarà difficile. Non ci saranno file per il pane davanti alle Opere francescane ma non occorre essere indovini per prevedere tensioni, lacerazioni, scontri e mille incertezze. A meno che l’Europa e i mercati non ci spingano ad accelerare la discontinuità.