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Tamburi: “Trump, Merkel, Renzi: sui mercati la politica non conta più come una volta”

Avanti tutta, Come prima, più di prima perché il Covid-19 non ha certo spento, né tantomeno frenato la voglia di capire, agire e, ovviamente, di guadagnare di Gianni Tamburi che si agita di fronte a una Milano ancora semivuota come un leone in gabbia e che, in questa intervista a FIRSTonline, non lo nasconde. “La cosa che ho patito di più in questi mesi di semi clausura è stata l’impossibilità di girare per l’Italia e cogliere gli umori dell’economia sul campo. Mi sono reso conto di quanto mi diverta ancora a lavorare”. Certo, il lockdown non è ancora superato, ma il numero uno di Tip guarda oltre, pronto a trasformare, dopo la parziale cessione di Prysmian, le nuove opportunità in buoni affari.

Alla faccia dell’inflazione che potrebbe guastar la festa, teme qualcuno.

“Macché . E’ un rischio che non vedo all’orizzonte. E’ un fantasma che viene evocato da chi non ha idee e non sa che cosa dire”.

L’instabilità politica non è un fantasma però. Prima Trump, poi questa crisi in Italia, che non è proprio una crisi ma per questo inquieta anche di più…

“Devo dirlo? La politica oggi non conta più niente. Dai pasticci di Trump a Renzi fino alla Merkel. L’attività dei singoli conta sempre meno”.

Perché?

“Perché nel mondo globale i singoli non conta più niente, conta solo la globalità. Economia, industria e finanza hanno preso il sopravvento perché solo da loro dipende l’occupazione, i consumi e le altre variabili quantitative. Il tema vero è che i soldi hanno preso il sopravvento su tutto senza alcun filtro della ragione. C’è una sorta di straniamento della democrazia che coinvolge la comunicazione. Basta dare uno sguardo alla roba che inonda Internet. La classifica dei più ricchi, come fosse una hit parade. Ma chi se ne frega se Elon Musk è il più ricco. Un conto sono le informazioni, altro il bombardamento mediatico che ti fa scorrere le notizie una dopo l’altra. Prendi Black lives matter. Chi se ne ricorda più?”.

Per la verità io me ne ricordo bene.

“Ma tu in questo caso non fai testo perché sei un addetto ai lavori. Ma gli altri… Sembrava una guerra mondiale, oggi è stata dieticata. Tempo una settimana e ci saremo dimenticati lo sciamano davanti al Campidoglio”.

In quanto a suggestioni evocate da fake news e dintorni l’Italia ha i suoi record negativi. O no?

“Non sono d’accordo. L’Occidente è sulla stessa barca. Mercoledì ho partecipato ad un cda a Parigi, quello di Roche Bobois e ho sentito le stesse cose che ci diciamo a Milano. L’altro ieri ero collegato con Eataly a Stoccolma e le preoccupazioni erano le stesse. La realtà è che nessuno ha una bacchetta magica e quando si è cercato, come in Svezia, di affrontare la pandemia in modo originale. Sono stati costretti a tornare indietro.”

Che lezione ne possiamo trarre?

“Non ci sono state, come nel ’29 o nel 2008, ricette diverse o contrapposte. Tutti hanno fatto, chi meglio e chi peggio, più o meno le stesse cose. E non vedo eccezioni particolarmente virtuose. In ogni caso, noi italiani evitiamo di fustigarci. Non è il caso. Non esiste più l’Italia come eccezione negativa. Siamo un pezzo di mondo che condivide problemi comuni”.

Ma il nostro debito è un’eccezione anche se meno grave che in passato visto il livello dei tassi.

“Io non me preoccupavo più di tanto prima, figuriamoci adesso vista la rete di protezione che è stata eretta”.

Ma i soldi dell’Europa ci servono. E chissà se li sapremo investire.

“Prima facciamoli arrivare nei posti giusti perché per ora si è visto poco o nulla. Poi, certo, bisogna saper spendere. E su questo Renzi ha non una ma mille ragioni. E’ un fatto oggettivo che lui ha dato una grossa mano negli ultimi mesi per evitare che tutto finisca in spesa corrente o reddito di cittadinanza per malavitosi”.

Intanto tutti dicono che la Borsa continuerà a salire. D’accordo?

“Per forza. Non esiste alternativa all’equity di qualità. Le obbligazioni rendono zero, che senso ha puntarci? Certo, io che ho incassato 300 milioni da Prysmian devo comprare nel breve anche obbligazioni. Ma è un impiego tattico e basta. E lo stesso ragionamento vale per le famiglie, al solito ricche a fronte di imprese sottocapitalizzate. Un assurdo che continua a favorire chi, come noi, cerca di dare una mano al sistema”.

Magari ci proverà il fisco. Banca d’Italia, seppur sottovoce, parla di patrimoniale.

“Sarebbe un clamoroso autogoal. Rischiare un’insurrezione per un gettito che, a questi rendimenti, non serve a nessuno”.

Dove investire allora?

“L’Italia è il mercato più a sconto d’Europa che a sua volta è a sconto rispetto agli Usa ed all’Asia. Ma un po’ d’Asia ci vuole perché cresce di più, né si può fare a meno del dollaro. Diciamo che, fatto 100, il 50-60 per cento deve esser puntato sull’Italia. Il resto, in parti eguali, sul resto”.

Ma i titoli sono pochi.

“Più di una volta. Guarda l’Aim: sono 140 titoli piccoli ma tra cui si può scegliere”.

I settori?

“Io guardo agli imprenditori, non ai settori o alle mode che piacciono agli analisti. Semmai bisogna ringraziare il Covid che messo molte aziende nella condizione di fare le cose giuste senza i soliti rinvii o intrallazzi bancari”.

Le banche continuano a non piacerti.

“Tutt’altro. Finalmente fanno le cose giuste anche perché con questa Bce non c’è da scherzare”

Una cosa su Stellantis al debutto.

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“Un’ottima idea. E’ quello che avrebbe voluto fare Marchionne che voleva cedere il comando di Fiat e tenere per sé Ferrari. Di Tavares parlano tutti molto bene. Arriverà a Torino in settimana già con le idee ben chiare”.

Ed Elkann?

“Ha imparato la lezione di Marchionne e la lucida follia del nonno. E’ un visionario che merita credito, un leader globale che non ha senso relegare dietro una bandiera. E’  un manager del mondo. Chi metterà in Ferrari? Se non riesce a liberare Domenicali penso ad un uomo Fiat dopo la prima fase di Tavares”.

Un sogno: un gruppo del lusso guidato da Armani e Del Vecchio.

“Meglio Armani e Prada e/o Dolce e Gabbana. Ma non porterebbe valore. Il capitalismo italiano ha bisogno di merger a livello di piccoli e medi. O di turnaround, attività che ho appena iniziato coinvolgendo i tre manager italiani più bravi. In quel campo occorre tempo e tenacia perché ti confronti con banche, notai, avvocati e giudici. Mi auguro che sapremo fare un buon lavoro anche con le aziende che traballano. L’Italia ne ha bisogno”.

E poi?

“Chissà. Se mi ritirassi domani avrei una plusvalenza di un miliardo”.

E’ una domanda retorica.

“Sì, ma 66 anni e un storia di cui vado fiero: Cuccia è stato lanciato da Beneduce, Bonomi ha ereditato, io non ho padrini”.

Ma davvero vuole smettere?

“Per stare a casa a guardare i muri come nei mesi scorsi? Per carità. Meglio prender la macchina ed andare a scoprire nuovi talenti. Anche perché vedo qualcosa di nuovo: oggi gli imprenditori preferiscono comprare un’altra azienda piuttosto che la terza villa per il nipote. Ed è una gran bella novità per l’Italia”.

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