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Tamburi (Tip): “Le cantonate dei guru e la rivincita dell’economia reale”

“Stavolta mi sono proprio divertito”, Sulla scrivania di Giovanni Tamburi, numero uno di Tip, spicca una copia di “Prezzi & Valori”, l’ultima sua fatica (“puoi dirlo forte – commenta – perché è frutto di ore sottratte al sonno”) dedicata a “L’enterprise Value nell’era digitale”. Ovvero, più prosaicamente, “a tutte le fesserie sui mercati diffuse a piene mani da analisti, uffici studi e guru vari”. Volume controverso ma di assoluta attualità: “Prima la Brexit, poi l’effetto Trump, infine la presunta Apocalisse che si sarebbe scatenata dopo il referendum italiano”. Ed invece…

“Invece l’economia reale ha sempre avuto la meglio sulla lettura virtuale della realtà. La realtà è che le cose non vanno male, anzi la congiuntura in Europa e non solo è meglio del previsto. Ma l’ottimismo non è di moda”. Comincia così il colloquio con Tamburi, che da anni prosegue imperterrito, incurante di crisi politiche e pressioni sullo spread, a valorizzare le “perle” dell’economia reale, ovvero aziende con una buona esposizione all’export. Con una missione aziendale chiara e, più importante ancora, con una forte governance, assicurata da una proprietà e/o da un management dedicato alla crescita.

Argomenti che non vanno di moda. O no?

”Mi sono divertito a fare una raccolta di analisti e previsioni seguite in questi anni con grande serietà. Prendiamo l’andamento dell’oro: un analista, senza alcun timore del ridicolo, ha previsto alla vigilia del voto americano che, in caso di successo di Hillary Clinton, ci sarebbe stata un’ascesa del 7%, più che doppia se avesse prevalso Donald Trump. Peccato che dopo le elezioni l’oro è sceso”.

Una previsione si può sbagliare.

“Vero, ma comincio ad avere il sospetto che esista una sorta di mercato per le previsioni forti. Prendiamo Marc Faber che da dieci anni o giù di lì prevede catastrofi imminenti. Non si è verificato nulla del genere, ma una conferenza di un’ora gli rende 25 mila euro”.

E’ un’analisi impietosa dell’industria finanziaria. Che cosa è cambiato in questi anni?

“In realtà non è cambiato molto, salvo la rapidità delle azioni e delle reazioni, cosa che comporta conseguenze paradossali, spesso assurde. Vuoi un altro esempio? Nel libro pubblico il grafico delle reazioni del mercato al discorso tenuto da Janet Yellen a Jackson Hole il 26 agosto scorso. Emergono impatti rilevanti sulla valuta, di segno opposto per lo più rapidamente assorbiti: una pantomima ridicola che dura da anni”.

Come s’inquadra il malessere italiano in questo contesto?

“Perché dobbiamo parlare di malessere? I media ne parlano poco o non se parlano affatto, ma in Italia non solo si vendono più automobili, ma lo stesso vale per i veicoli commerciali o altri indicatori che segnalano il miglioramento della congiuntura. Purtroppo, e non ne capisco il perché, fa notizia il pessimismo alimentato dai social media piuttosto che dalla carta stampata che purtroppo pesa sempre meno. Mi auguro che prima o poi ci sia spazio per un’informazione più ragionata”.

Ma il disagio sociale non l’hanno inventato i media.

“Verissimo, ma questo deve spingerci a fare, non a strillare. L’Italia ha ottime aziende che, crescendo, possono aiutare alla soluzione dei problemi. Vuoi un piccolo esempio? Quando Andrea Guerra è arrivato a Eataly, ha preso atto che la formula non funzionava in alcune realtà, vedi Firenze o Bari. Perché, gli hanno spiegato, un barese dovrebbe prendere un caffè da noi quando di fronte lo paga la metà da locali che evadono tasse e contributi?”.

Già, perché?

“C’è voluto un lavoro paziente e razionale. Ma oggi Bari funziona”.

Volevo chiederle una ricetta per cambiare l’Italia, siamo arrivati al caffè. Che cosa possiamo chiedere al nuovo governo?

“Mi auguro che, chiunque arrivi, prosegua il buonissimo lavoro di Renzi che, tra l’altro, ha avuto il merito di affidarsi a Calenda. Il nostro Paese ha bisogno di politici che sappiano favorire la crescita delle nostre imprese, che non hanno nulla da invidiare agli altri, come dimostra l’exploit della plastica o della farmaceutica o dell’automazione. Anche l’occupazione, quella sana, sta ripartendo”.

Poi c’è la zeppa delle banche: quanto del boom industriale di una certa Italia è figlio del credito facile che ha generato 360 miliardi sofferenze?

“La cifra, al netto, ormai è dimezzata e ho l’impressione che una buona parte dei problemi abbia un’origine remota. Ai tempi del Banco di Roma, ad esempio. Ci vuole tempo per sciogliere certi nodi, tipo quelle delle Popolari che spesso hanno replicato lo schema del vecchio Banco Ambrosiano: dammi i soldi che me ne occupo io.

Come affrontare il problema Monte Paschi?

“Con una logica industriale. Non sono un esperto di banche, ma credo che ci sia ampio spazio per trasformare le obbligazioni in equity, secondo lo schema a suo tempo adottato da Warren Buffett per le grandi banche Usa. Il costo del denaro resterà basso anche nei prossimi anni, del resto”.

Perciò?

“Potremmo varare una o più grandi emissioni di convertibili, coinvolgendo anche i Gacs. Il gradimento dell’ex Bot People sarebbe,credo, molto alto. E la smetteremmo finalmente di arricchire JP Morgan o altre banche”.

Non è un’impresa troppo ambiziosa per l’Italia?

“Macché, potremmo farcela alla faccia dei gufi. L’importante è ritrovare la fiducia”.

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