Non c’è dubbio che ci siano oltre 2000 miliardi di ragioni per gli USA, (il costo della guerra in Afghanistan supera i 2300 miliardi di dollari USA!), nel chiudere la partita in Afghanistan ma la realtà è molto diversa da quelle che erano le prospettive fissate dall’accordo firmato a Doha. E agli USA non resta che congelare le riserve del Governo afgano detenute negli USA, seguiti dal Fondo Monetario Internazionale, non permettendogli di accedere ad un “bottino“ che garantirebbe lunga vita al loro Emirato. Ma soprattutto la possibilità di portare avanti una missione che dietro all’ideologia nasconde solo bramosia di territori e risorse economiche alle quali attingere per finanziare le milizie. Tenuto anche conto che secondo un rapporto delle Nazioni Unite confermato da Fitch, la casa di rating, i guadagni dei talebani si aggirano intorno a 1,6 miliardi di dollari di USA annui. Così il G20 straordinario guidato dall’Italia ora assume un ruolo fondamentale nel quadro geopolitico.
Repetita non juvant….il diavolo nei dettagli dell’accordo di pace per l’Afghanistan!
Ma guardiamo all’ultimo tassello che ha fatto crollare ogni illusione su una pacificazione dell’Afghanistan, ed ha evidenziato un disastro diplomatico da parte degli USA, ed un caos geopolitico che getta sul Medio Oriente un’ombra instabile come già raccontato la scorsa settimana.
Dopo 20 anni l’accordo “per portare la pace in Afghanistan” firmato a Doha vede ripetersi decine di volte, dal titolo e con riferimento alle clausole dell’accordo, lo stesso incipit “… the Islamic Emirate of Afghanistan which is not recognized by the United States as a state and is known as the Taliban” e ciò potrebbe apparire come in ogni “contratto” si identifichi una delle due parti dell’accordo: i Talebani da una parte e dall’altra troviamo gli Stati Uniti d’America. Quindi non il Governo o lo Stato Afghanistan ma gli USA. L’Afghanistan con entità viene nominata come centrale nella quarta parte dell’accordo inerente il dialogo e le negoziazioni intra-afgane, tramite le quali si sarebbero dovute delineare le tappe della Road Map politica per il Paese. Quindi L’Emirato Islamico non nasce ora dopo il golpe, era già nelle carte a chiare lettere!
Nella realtà abbiamo assistito infatti ad un golpe, e non un “takeover”, dei Talebani che hanno dato bandiera -territorio – legittimità al loro Emirato Islamico in un colpo solo, cancellando nome dello Stato e la bandiera dell’Afghanistan, esattamente come fatto in Bielorussia da Lukashenko o da Chavez in Venezuela e con una violenza inaudita nei confronti della popolazione locale.
La resistenza nella provincia di Baghlan e i successi dell’alleanza del Nord, anche se poca cosa nel quadro generale, riscattano la fuga di un esercito che non ricevendo più stipendio e viveri da mesi, e dato il livello di povertà nel quale vive il Paese ha disertato mancando al proprio giuramento ed impegno di difendere il Paese, anche per le minacce dei Talebani di non risparmiare nessuno.
L’interesse dei Talebani va agli armamenti, attrezzature e strutture lasciate “in dote” dagli americani e la riorganizzazione della struttura politica e militare dell’Emirato è già in corso. Con più di 85mila uomini da sostenere finanziariamente per tenere in mano il territorio i Talebani non possono permettersi errori del passato e da qui i toni diplomatici per tenere buoni cinesi e russi, futuri possibili finanziatori della ricostruzione, mentre il Pakistan assumerà un ruolo ben diverso.
Per uscire da anni di ambiguità nel suo rapporto con gli USA dovrebbe dare al contempo supporto e sostanza alla nuova “diplomazia talebana” dopo aver permesso il mantenimento di legami transfrontalieri con gli stessi talebani. La verità e’ che l’intelligence e gran parte dei militari pakistani sostengono i talebani afgani e le prime dichiarazioni del Primo Ministro pakistano Khan fanno intravedere una disponibilità ad una legittimazione dell’Emirato Islamico in chiave antiamericana. Ma Khan non ha fatto i conti con la mancata riconoscenza del leader Baradar, che ha fatto liberare dalle prigioni afgane gli esponenti del gruppo talebano pakistano più pericoloso (TTP) direttamente legato ad Al Qaeda rendendo complicata ulteriormente la posizione del Pakistan, sempre alla ricerca di un equilibrio politico interno tra istituzioni e movimenti terroristici locali e violando così in parte l’accordo di Doha.
Conclusione
C’è da chiedersi come sia possibile che i 2.300 miliardi di dollari USA, di cui sopra, non siano stati sufficienti a ricostruire almeno in parte le infrastrutture di un Paese grande come la Spagna in 20 anni, ed anche come mai il monito lanciato dalle coraggiose esponenti del partito laico Hambastaghi (Solidarietà) sui traffici dei talibani nelle province più lontane che gli hanno permesso tra tasse imposte e narcotraffico di riorganizzare la milizia negli ultimi cinque anni, senza che Pakistan e altri Paesi confinanti non ne cogliessero la pericolosità, cadesse nel vuoto.
Intanto il gradimento di Biden si avvicina pericolosamente alla soglia psicologica del 50% e sicuramente dopo il peggioramento della situazione in Kabul entro fine mese si posizionerà sotto questa soglia rendendo più complicata per lui anche la gestione della politica interna proprio in un momento cruciale per completare l’iter legislativo per il piano infrastrutture.
La notizia dell’ultima ora secondo la quale Erdogan e Putin si sono accordati per creare un tavolo di coordinamento per il dialogo con i Talebani non rassicura più di tanto, soprattutto per le reazioni raccolte da diversi movimenti terroristici dal Medio Oriente all’Asia Centrale e Africa.
Perché ricordiamo che lo scorso Giugno i leader di Hamas si sono recati in visita in Libano per incontrare il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, per creare un fronte filo iraniano per contrastare il patto di Abramo, (firmato da Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco, Israele e Stati Uniti). Unendo a ciò il plauso che i Talebani hanno incassato, oltre che da loro, anche trasversalmente da diversi gruppi jihadisti dalle milizie somale di Al Shabaab al Gruppo siriano HTS (Hayat Tahrir al-Sham), sino ai Fratelli Musulmani in Pakistan e in altri Paesi africani, è chiaro che il Medio Oriente rischia di diventare una polveriera.
Si spera che il G20 straordinario mantenga una posizione inflessibile nei confronti dei talebani afgani per arginare una possibile spirale terroristica e trovando un accordo su una politica comune che tenga conto dei cambiamenti in atto nell’area mediorientale, non permettendo alcuna legittimità all’Emirato Islamico data l’aperta violazione dei diritti umani perpetrata soprattutto sulle donne e sui giovani così come nei confronti di tutte le istituzioni sociali e politiche del Paese.
Testo a tratti grammaticamente incomprensibile.