Rapporto deficit/Pil
Il Governo Renzi ha varato il Def 2015, che sarà subito trasmesso alla Commissione europea. Nel documento è stata scelta un’impostazione dei conti pubblici più possibile in linea con le richieste dell’Unione europea. Il rapporto deficit/Pil resta indicato al 2,6 per cento. L’Esecutivo non ha “forzato” il margine di 0,4 punti percentuali, che mancano al “tetto” del 3 per cento, evitando di aprire subito un braccio di ferro con la Commissione Ue. Però, potrebbe trattarsi solo di una strategia comunicativa. Il ministro dell’Economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, ha detto che l’Italia ha bisogno di presentarsi in regola, per essere credibile e, quindi, autorizzata a lavorare in sede europea, specie in vista dell’imminente semestre di presidenza Ue, per cambiare l’impostazione troppo rigorista che ha caratterizzato finora la gestione dei bilanci pubblici dei Paesi membri.
Il raggiungimento effettivo del rapporto 2,6% nel 2014 dipenderà, però, da due elementi critici: l’effettiva efficacia dei tagli alla spesa pubblica che il Governo si accinge a varare per decreto legge il prossimo 18 aprile; e una crescita dello 0,8% del Pil, posta a base dei conti pubblici nel Def, ma dissonante rispetto alle stime finora eseguite dai maggiori organismi internazionali, che prevedono un aumento solo dello 0,6 per cento.
Dal decreto legge sulla spending review, Renzi si aspetta 4,5 miliardi di risparmi nel 2014. Ma se questi fossero stati sovrastimati (i meccanismi della spesa pubblica sono molto complessi) oppure incapperanno in ritocchi qui e là in sede di conversione del provvedimento da parte del Parlamento, quelli che registrerà effettivamente la spesa pubblica a fine dicembre potranno essere inferiori alle aspettative dei 4,5 miliardi. Il numeratore del rapporto deficit/Pil, quindi, risulterà più alto di quello ora indicato. E se la crescita del Pil sarà inferiore allo 0,8% sperato, il denominatore del rapporto apparirà più basso. Le due componenti insieme, o anche una sola di queste, produrrà un rapporto deficit/Pil più elevato del 2,6%, adesso programmato. Lo sapremo a consuntivo, a fine anno, quando il semestre di presidenza italiana sarà concluso e un valore più vicino al “tetto” del 3% ci produrrebbe meno imbarazzo.
Sul piano dei rapporti con l’Unione europea, risulteremo in fallo, ammesso che non si riescano a modificare gli attuali criteri di rigore per la gestione dei bilanci statali. Ma dal punto di vista macroeconomico, avere finanziato con aumento del deficit gli sgravi Irpef per i lavoratori dipendenti a basso reddito si tradurrà in un’efficacia assai maggiore della misura per il rilancio dei consumi e, quindi, per la crescita del Pil. Finanziare la riduzione di imposte con i tagli alla spesa pubblica, infatti, è scarsamente efficace per l’aumento del reddito disponibile nel Paese, poiché si sostituiscono buste paga più pesanti, quelle dei beneficiari dello sgravio Irpef, a redditi “tagliati” dalla spending review, per altri lavoratori e per le imprese. Insomma, bisognerebbe ragionare sul saldo di questa operazione, che certamente non è così ”espansiva” come lo sarebbe se finanziata con aumento della spesa pubblica.
Potrebbe essere questo il retropensiero di Padoan e Renzi. Certo è che l’obiettivo della riduzione di spesa pubblica per 4,5 miliardi in otto mesi appare, per il nostro Paese, un’impresa titanica.
Lo sgravio Irpef per i dipendenti
Renzi ha confermato gli annunci più volte fatti. Nelle buste paga da maggio in avanti, i lavoratori dipendenti con redditi annuali entro 25mila euro troveranno 80 euro in più, mediamente. Sarà varato un decreto legge il 18 aprile. Il costo dell’operazione per l’Erario è di due terzi dei 10 miliardi di euro annunciati in Parlamento a inizio febbraio, in quanto per otto mesi su dodici, cioè di circa 6,7 miliardi di euro, per il 2014. Le minori entrate per lo Stato saranno compensate con i 4,5 miliardi di spending review nonché con l’aumento del gettito Iva (circa 1,2 miliardi) prodotto dai pagamenti alle imprese dei vecchi debiti della Pa; e, novità annunciata ieri, con l’aumento del prelievo sulle banche (1 miliardo di euro) che hanno beneficiato della rivalutazione delle quote di Banca d’Italia.
In totale si arriva ai 6,7 miliardi necessari. Però, la copertura vale, per oltre un terzo, solo per il 2014, poiché l’aumento dell’Iva e della tassazione sulle banche non si riprodurrà l’anno prossimo (per l’Iva, anzi, in realtà si tratta di un’anticipazione di entrate che sarebbero dovute arrivare in futuro). Lo sgravio Irpef, quindi, dovrà essere temporaneo e limitato al 2014, in attesa di reperire, con la legge di Stabilità, la copertura integrale anche per gli anni prossimi.
La riduzione dell’Irap
Renzi ha confermato anche la riduzione del 10% del prelievo Irap, che sarà coperto con l’aumento dal 20% al 26% dell’aliquota di tassazione sulle rendite finanziarie, senza fornire altri particolari su questa operazione. La riduzione dovrebbe operare, dunque, idealmente, dal secondo semestre di quest’anno. Il che vuol dire che per il 2014 sarà del 5 per cento. In pratica, l’aliquota ordinaria del prelievo scenderebbe al 3,7%, con effetti al momento del saldo da versare nel 2015. Dall’anno prossimo, poi, l’aliquota scenderebbe ulteriormente al 3,5 per cento.
Poiché gli effetti finanziari della riduzione Irap si produrrebbero solo dall’anno prossimo, è probabile che la traduzione normativa dell’operazione sia rinviata all’autunno, con la legge di Stabilità. Resta da vedere se l’aumento della tassazione sulle rendite finanziaria sarà anch’essa rinviata al 2015, come sarebbe logico attendersi; oppure se scatterà da luglio, per assicurare comunque gettito aggiuntivo già per il bilancio 2014.
Discesa del debito pubblico
Tra gli obblighi cui è sottoposto il nostro Paese verso l’Unione europea, c’è la riduzione del rapporto tra debito pubblico e Pil verso il 60% entro vent’anni, dall’attuale 135% quasi. E’ l’accordo definito “fiscal compact”. L’Ue si aspetta una discesa di un ventesimo all’anno della differenza tra 135 e 60, a partire dal 2016. Si tratta di 3,6 punti percentuali all’anno, corrispondenti a più di 50 miliardi di euro. Una cifra enorme, che rischia di spezzare le gambe all’economia italiana.
Ma Padoan ha spiegato che ormai il nostro bilancio statale è stato riordinato e tra il prossimo anno e il 2016 raggiungerà il pareggio sostanziale. Inoltre, le riforme strutturali avviate potranno consentire di utilizzare la maggiore flessibilità nella discesa prevista dal “contractual agreement”, che da ottobre l’Italia potrà concordare con l’Unione europea. A quel punto, per rispettare la riduzione verso il 60% prevista dal “fiscal compact” potrà bastare un aumento annuale del Pil nominale di almeno il 3 per cento. In pratica, secondo Padoan, basterebbe un aumento di un punto percentuale all’anno di Pil reale in presenza di un’inflazione del 2 per cento. Il programma di privatizzazioni previste potrà completare il rientro, poiché i ricavi delle vendite non alimenteranno le entrate correnti, ma andranno direttamente a riduzione dello stock del debito.