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Tabacci: “La destra paga le sue ambiguità antieuropeiste e populiste. Di Maio è più lineare di Conte”

Imagoeconomica

Bruno Tabacci, leader del Centro democratico e sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, non nasconde la sua soddisfazione per il risultato delle elezioni amministrative di domenica scorsa ed è convinto che, alla fine, la serietà e la competenza del Governo Draghi paghino di più, anche in termini elettorali, delle ambiguità e delle pulsioni antieuropeiste e populiste del centrodestra. In questa intervista a FIRSTonline c’è la sua valutazione sul voto di domenica scorsa ma anche sugli effetti della scissione grillina e sul modo in cui il centrosinistra si sta preparando alle elezioni politiche del 2023. Sentiamolo.

Onorevole Tabacci, le elezioni comunali del 26 giugno hanno premiato forse oltre le aspettative il centrosinistra: è l’effetto delle divisioni del centrodestra o c’è dell’altro? E, pur considerando la particolarità di elezioni comunali, si può trarre qualche indicazione di carattere generale?

“È difficile negare la valenza nazionale del risultato di queste elezioni amministrative. La destra ha perso anche in capoluoghi in cui era assolutamente certa di vincere. Ed ha perso perché mai come in questa fase appare ambigua e dunque poco affidabile agli occhi degli italiani. Nello stesso tempo in cui due dei tre partiti maggiori della coalizione appoggiano il governo europeista ed atlantista di Mario Draghi, né Meloni, né Salvini né Berlusconi – penso alle sue dichiarazioni anche recenti su Putin da accontentare – hanno mai abbandonato completamente le pulsioni antieuropeiste e populiste e anzi lasciano intendere che proprio su queste basi potrebbero governare nel caso in cui vincessero le elezioni nel 2023. Dire, come fanno, vinciamo se stiamo uniti, in queste condizioni penso sia un’illusione”

Perché un’illusione?

“Perché prima occorre chiarire su quali assunti programmatici si sta uniti. E dunque finché non faranno una scelta di campo chiara, con l’Europa o contro l’Europa, contro i sovranisti o con i sovranisti, sarà difficile che la loro proposta possa essere presa in considerazione. Ma, a mio avviso, questo tempo contrassegnato da serietà e competenza, grazie al governo Draghi, non lascia molta scelta: gli italiani preferiscono affidarsi a chi sta con l’Europa e contro i populisti ed i sovranisti. È questo il vero responso del voto delle ultime due settimane. Ed è su questo che la destra in primo luogo credo dovrebbe riflettere”.

Presidente Tabacci, andiamo oltre le elezioni amministrative e guardiamo a quello che sta succedendo sulla scena politica nazionale. Lei è stato fino all’ultimo minuto uno dei maggiori sostenitori di Giuseppe Conte nel suo secondo governo e ora dichiara di “fare il tifo” per Di Maio. Delle due l’una: o la scissione tra Di Maio e Conte nei grillini è una barzelletta oppure Lei è un acrobata della politica nel passare disinvoltamente da un capo all’altro dei suoi interlocutori grillini. Come spiega tutto ciò?

“Le cose non stanno come lei vuole insinuare. Il Conte che ho apprezzato e sostenuto fino in fondo è stato quello del Conte 2 (avendo avversato anche con interventi parlamentari appassionati e facilmente rintracciabili il Conte 1). Tanto che ho lavorato perché ci fosse un Conte ter in occasione dell’incarico esplorativo affidato da Mattarella a Fico. Solo di fronte al fatto che i numeri necessari per allargare la maggioranza non c’erano, il presidente Mattarella è stato costretto a chiamare Draghi. E il governo Draghi è un governo di iniziativa presidenziale, non essendoci sul campo maggioranze parlamentari definite in questa legislatura. Di Maio è stato ed è un ottimo ministro degli Esteri, assolutamente leale a Draghi, anche sulla delicata vicenda ucraina, sulla quale sono cresciuti i distinguo di Conte e del M5S, specie sulla scelta europeista di aiutare l’Ucraina a difendersi dall’invasore russo. Su questo si è consumata la rottura in Parlamento. Mi è parsa più lineare, tutt’altro che una barzelletta, la posizione di Di Maio, ed ho agito di conseguenza”.

Lei che ha vissuto i tempi più gloriosi della Dc e del centrosinistra, non trova deprimente che ora si parli solo di schieramenti e di possibili alleanze elettorali senza uno straccio di progetto politico e di programma? Ma davvero si pensa che Di Maio e Calenda o Renzi possano trovare un’intesa, che non sia di pura convenienza elettorale, su temi come la giustizia, il reddito di cittadinanza o il nucleare?

“Il mio giudizio sulla fase politica attuale è molto severo, come lo è sulla gran parte degli oltre vent’anni della cosiddetta Seconda Repubblica e non mi sono mai censurato al riguardo. Questi partiti sembrano solo il participio passato di partire. Fare un confronto con i grandi partiti della Prima Repubblica non solo è una operazione impossibile ma sarebbe ulteriormente umiliante per l’oggi. Ma questo è il tempo che ci è dato vivere: non posso certo pretendere di scegliere né il convento né i frati, poiché questi sono i frati del nostro tempo ed io stesso ne faccio parte. Per cui servirebbe un po’ di umiltà, capacità autocritica e disponibilità a far prevalere l’interesse generale sul particolare da parte di tutti. Perché ogni parlamentare, a cominciare dai leader, si trova oggi di fronte al rischio di una crisi istituzionale che si apre con il crescente distacco della pubblica opinione manifestato reiteratamente nelle ultime consultazioni elettorali. E prima o poi tutti dovranno rendersene conto. A proposito di programmi poi cerchiamo di essere precisi. Il nostro Paese non può permettersi ambiguità né sulla collocazione europeista né su quella atlantica, né sulla difesa dell’euro, né sull’attuazione degli impegni assunti con il Pnrr: non lo dico per fanatismo ideologico, ma per la dimensione del nostro debito pubblico, perché non abbiamo le materie prime di cui abbiamo bisogno e quindi dobbiamo rimanere allacciati ad un sistema di alleanze e rapporti internazionali. Su questi temi gli elettori richiedono chiarezza. Il Pnrr impegna il Paese a fino alla fine del 2026 ed è l’opportunità più grande che abbiamo. Facendo confusione la sprechiamo”.

Legge elettorale permettendo, si sente parlare di area Draghi con o senza il Pd a seconda che si voti con il Rosatellum o con la proporzionale, ma è curioso che, anche da parte sua, ci sia un evidente ostracismo verso Matteo Renzi che è stato determinante nel far cadere il Conte 2 e nell’evocare per primo l’ipotesi di un Governo Draghi che ha sempre sostenuto – sul piano del riformismo, dell’europeismo e dell’atlantismo – con una coerenza infinitamente superiore a quello degli ultimi arrivati dell’area Draghi come Di Maio. Agendo sulla spinta dei rancori o delle antipatie personali, non crede, come ha scritto Il Foglio, che anzichè dar vita all’area Draghi si vada verso l’area Tafazzi?

“Lei dice legge elettorale permettendo, come se fosse una premessa non importante. Ma non è una questione indifferente. È decisiva. Con una legge elettorale proporzionale (con sbarramento e preferenze) un’area centrale può avere una sua autonomia politica e parlamentare. Con questa legge elettorale e con la riduzione dei parlamentari invece le coalizioni sono essenziali per competere nell’attribuzione dei seggi parlamentari. Oggi si vede che da un lato c’è il Pd e dall’altro Fratelli d’Italia. Sono i potenziali perni delle due coalizioni possibili. Io lavoro e consiglio di lavorare per una coalizione europeista, non sovranista né populista. È nell’interesse del Paese e dell’Europa, che è l’unica dimensione possibile nel quadro geopolitico che si sta determinando. Per fare questo non sono consentite preclusioni personali tra chi si riconosce nel campo europeista. Di Maio si è collocato in quel campo ed ha il merito di essersi detto disponibile a dialogare con altri, non ho sentito preclusioni nei suoi discorsi. Altri,che pure sostengono il governo Draghi lealmente, in questi mesi invece mi pare finora si siano basati più sulle reciproche preclusioni che sul principio dell’inclusione. Io spero che si superino tutti i veti perché solo così si può battere la coalizione guidata da chi si oppone all’attuale governo Draghi. Si può costruire un’area di centrosinistra che fa proprio il metodo e lo stile del governo di Mario Draghi. Sobrio, concreto, senza strepiti, attento ai più deboli, e capace di indicare al Paese una proposta valida per l’avvenire. Le sembrano queste intenzioni tafazziste? O piuttosto un recupero di serietà che non potrà che essere apprezzato dalla nostra gente?”

Lei ha dichiarato che “si deve tenere aperto un dialogo con Conte fino all’ultimo per mantenere il Movimento Cinque Stelle dentro il perimetro della maggioranza e poi per costruire una coalizione competitiva”, ma quali basi politiche e programmatiche comuni ci possono mai essere tra due gruppi – come quelli di Di Maio e quello di Conte – che si rinfacciano ambiguità reciproche fino a dividersi, per non dire dell’incompatibilità tra le oscillazioni di Conte sull’Europa, sulla Nato e sulla Russia e la linea autenticamente europeista e atlantista di Letta, Renzi e Calenda sotto il segno di Draghi?

“Ovviamente non è il tempo di rinfacciare il passato. Il Movimento del vaffa non c’è più, qualcuno tra coloro che sono rimasti a farne parte dopo l’uscita di Di Maio può anche essere tentato dalla nostalgia ma, proprio perché mi pare che ci sia molta incertezza sulla strada da intraprendere, credo sia fondamentale in questa fase lavorare per evitare che prevalga il ritorno al passato anziché l’assunzione di responsabilità di fronte al Paese anche per il futuro. Ognuno poi è arbitro delle proprie scelte, ma segnalo che se gli italiani hanno ritenuto che bastasse far la somma delle proteste per costruire un progetto di governo oggi sono certamente disillusi: per cui credo che uscire dalla maggioranza per tornare a fare i Di Battista più che un’occasione di recupero di consenso sarebbe la pietra tombale sulla residua credibilità di quella forza politica. Dopo la pandemia, peraltro non superata del tutto, e nel pieno di una guerra che insanguina l’Europa, gli italiani sono diventati per la preoccupazione molto più esigenti e non si fideranno di vecchi o nuovi apprendisti stregoni. È un potente richiamo alla realtà per tutti. E d’altro canto il primo che mi pare giustamente impegnato a cercare di tenere insieme nella coalizione anche i 5 Stelle è proprio il segretario del Pd Enrico Letta di cui lei pure riconosce la linea autenticamente europeista e atlantista. Ecco lo sforzo di Letta lo condivido perché ne comprendo appieno le ragioni e mi sento di sostenerlo per quanto nelle mie possibilità”.

Da sempre Lei è favorevole a una legge elettorale proporzionale ma o si pensa che essa possa cadere dal cielo o ci vorrà qualcuno che prenda l’iniziativa superando la contrarietà della destra e le titubanze di Letta: vista l’eccezionalità del momento e la necessità di garantire la stabilità dell’Italia al di là degli appuntamenti elettorali, non potrebbe essere lo stesso Governo Draghi a smuovere le acque?  

“Sono per una legge elettorale proporzionale con le preferenze che liberi gli elettori dal vincolo di coalizioni posticce e contraddittorie e restituisca loro il potere di scegliere da chi essere rappresentati. Non credo che il governo possa assumere una iniziativa in tal senso. Sono i frati del convento di cui accennavo prima che devono avere un soprassalto di dignità, di serietà e di impegno per evitare che il loro convento vada in rovina trascinando se stessi nell’ignominia”.

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