X

Svolta Petrobras: addio dividendi record e nuova politica dei prezzi benzina e diesel per i consumatori

Petrobras

Grandi manovre intorno a Petrobras, il colosso brasiliano del petrolio del quale il governo di Brasilia è tuttora il primo azionista, con il 28,67% del capitale. Sono infatti settimane calde dopo il ritorno di Lula e il cambio ai vertici, con la nomina del nuovo presidente Jean Paul Prates subito chiamato ad affrontare sfide come il prezzo del combustibile, le energie rinnovabili e la politica dei dividendi. Petrobras, che nel 2010 segnò un aumento di capitale da record mondiale sfiorando i 50 miliardi di dollari, ha appena chiuso un primo trimestre sopra le aspettative, raggiungendo i 38 miliardi di reais di utile (circa 7,6 miliardi di euro) e soprattutto distribuendo quasi 25 miliardi di reais di dividendi (poco meno di 5 miliardi di euro), ovvero 1,89 reais per azione, molto più degli 1,26 reais pronosticati dal mercato. E anche la Borsa apprezza: dopo un marzo difficile, da aprile il titolo Petrobras ha ripreso a correre, risalendo ai livelli dell’autunno 2022, sopra i 25 reais per azione.

Petrobras e la svolta sui dividendi dopo un trimestre record

Questo è il secondo miglior risultato di sempre per un primo trimestre, e secondo la società è dovuto al calo dei costi operativi, che ha compensato la caduta del valore del Brent. Tuttavia la politica di remunerazione degli azionisti, da sempre molto generosa in casa Petrobras, inizia a essere messa in discussione. Nel 2022 il gigante brasiliano è stata la seconda società che nel mondo ha distribuito più dividendi, con quasi 22 miliardi di dollari, 12,6 miliardi in più rispetto al 2021, finendo dietro solo alla mineraria australiana BHP, che però gode di una tassazione differente. A parità di regime fiscale, Petrobras sarebbe stata la prima e questo inizia ad essere considerato non più sostenibile, oltre che sbilanciato a discapito degli investimenti. Il presidente Lula ha già fatto capire da qualche settimana che è arrivata l’ora di darci un taglio, e infatti nell’ultima riunione il Cda ha dato mandato alla direzione generale di valutare una strategia differente, optando per una politica remunerativa più prudente, magari intorno al 25% del profitto, secondo quanto ipotizzato da alcuni analisti.

Petrobras e i difficili investimenti ESG

Anche perché Petrobras ha bisogno di orientare una parte sempre più consistente delle sue risorse verso le fonti di energia alternative. Tanto più che recentemente, in barba a qualsiasi politica ESG pretesa dal mercato finanziario, i nuovi vertici dell’azienda, nominati proprio da Lula, hanno invece confermato il piano per estrarre petrolio dall’Amazzonia, con il devastante impatto ambientale che ne conseguirebbe. Per farlo però serve l’autorizzazione del ministero dell’Ambiente, a capo del quale oggi c’è Marina Silva, figura di riferimento dell’attivismo ecologista, che sta opponendo resistenza. Lula si trova così tra due fuochi: la necessità di sviluppo di un’azienda strategica e la tutela del polmone del pianeta, per la quale il Brasile riceve non poche pressioni internazionali, oltre che finanziamenti attraverso il Fondo Amazzonia.

Un’operazione del genere non sarebbe il primo scandalo per Petrobras: la Eni carioca, fondata nel 1953, fu anche al centro – una decina di anni fa – della maxi inchiesta giudiziaria Lava Jato, la Mani Pulite brasiliana, costata proprio all’allora presidente Lula una condanna a 12 anni per corruzione, poi annullata ma dopo aver passato quasi due anni in carcere. Nel frattempo, a parziale compensazione del piano amazzonico, l’azienda ha annunciato un progetto per estrarre gas naturale nel litorale di Rio, con un investimento da 9 miliardi di dollari: l’attività se tutto va secondo i piani sarà operativa nel 2028 e avrà una capacità prevista di 16 milioni di metri cubi di gas naturale al giorno, pari al 15% del mercato brasiliano e sufficiente per servire una metropoli come San Paolo, dove vivono oltre 20 milioni di persone.

Petrobras: più attenzione ai consumatori sui prezzi di benzina e diesel

Tornando alla gestione finanziaria, oltre che la fine del “Bengodi” dei dividendi, Petrobras ha recentemente annunciato una nuova politica dei prezzi del combustibile. Questo era stato un tema fortissimo all’inizio dell’anno, quando andava a scadenza il regime di esenzione fiscale concesso dal presidente uscente Bolsonaro per contenere i rialzi di benzina e diesel per i consumatori. Scaduta l’agevolazione, dal 1° marzo i carburanti sono saliti, con la benzina che è tornata sopra i 5 reais al litro (circa 1 euro), anche se gli aumenti sono stati più contenuti del previsto. Chiamato ad una scelta sul lungo termine, il Cda di Petrobras lo scorso 16 maggio ha deciso di abbandonare la PPI (paridade de importaçao), ossia l’adeguamento dei prezzi interni ai valori del mercato internazionale. 

La PPI fu voluta dal governo di Michel Temer, predecessore di Bolsonaro, ma il nuovo presidente Prates l’ha definita una “astrazione”, promettendo che la nuova politica consentirà maggiore flessibilità nella definizione dei prezzi di vendita, a vantaggio dei consumatori. I due nuovi criteri saranno infatti il “costo alternativo del cliente” e il “valore marginale per l’azienda”, che terranno conto appunto delle varie alternative di fornitura, e delle varie opportunità di margine per l’impresa, che allo stesso tempo produce, importa ed esporta petrolio. Il mercato tuttavia sembra scettico, poiché il petrolio è una commodity il cui prezzo è legato al mercato internazionale, tanto più che il Brasile compra all’estero il 30% del greggio che consuma, e dunque un disallineamento eccessivo può comportare una minore convenienza ad importare.

Related Post
Categories: Finanza e Mercati