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Suspence Fed: Bernanke si congederà con il tapering. Ecco che cosa significa

Mai un verbale fu più atteso. Eppure è difficile che le minute, ovvero il resoconto degli interventi della riunione di fine luglio dei vertici del comitato monetario della Federal Reserve, rivelino cose inedite sull’orientamento della banca centrale più potente del pianeta. “Ci aspettiamo – commenta al proposito una nota di Barclays – che i testi confermino l’atteggiamento emerso dai vari interventi dei banchieri: nella Fed prevale un atteggiamento falco a proposito del taglio degli acquisti di titoli sul mercati, ma colomba a proposito dell’andamento dei tassi”.

Ovvero, salvo sorprese clamorose, il 18 settembre, data del prossimo meeting del Fomc, verrà annunciata la riduzione da 85 a 75 miliardi/mese degli acquisti della banca centrale. Una riduzione equamente distribuita: Ben Bernanke acquisterà solo 40 miliardi di T Bond (5 in meno di oggi)  e 35 miliardi di Abs, ovvero titoli legati ai mutui, contro i precedenti 40. Nella speranza che i tagli non si traducano in una corsa al rialzo dei rendimenti dei T bond e , ancor più preoccupante, in una forte ascesa delle condizioni praticate sui mutui, a danno della ripresa del mercato immobiliare. 

Insomma, c’è ben poca suspence alla vigilia delle parole dell’oracolo di Washington, ormai con le valigie in mano. O forse ce n’è troppa, La presidenza di Ben Bernanke, ormai agli sgoccioli, verrà senz’altro ricordata per l’eccezionale iniezione di liquidità   sui mercati negli ultimi tre anni e mezzo che hanno scongiurato il ripetersi della Great Depression. Ma non sappiamo ancora se Ben meriterà monumenti ad imperitura gloria oppure sarà ricordato con ignominia. Tutto dipenderà dal successo dell’operazione di sgancio che inizia in questi giorni. Mai il mondo è stato inondato da tanti soldi, mai si è trovato alle prese di riassorbire tanta liquidità prima che si traduca in inflazione o in una nuova ondata recessiva. Inizia, con il tapering una fase nuova, inedita, nella storia finanziaria. E speriamo che sia un capitolo a lieto fine. Per ora non ci resta che scrutare l’orizzonte dei mercati, che già si stanno adattando, con forte anticipo, alla nuova situazione.

1) I tassi reali Usa hanno già registrato un forte aumento dei rendimenti, ormai oltre quota 2,8% per i decennali. Il fenomeno ha già generato due conseguenze: a) la fuga di capitali dai Paesi Emergenti, spiazzati dai riscatti dei fondi di investimento e degli Etf dalle posizioni accumulate sui Bric; b) i disinvestimenti dei money managers Usa dai fondi obbligazionari, che in questi anni hanno garantito favolosi profitti grazie all’ombrello protettivo della Fed, e i loro impiego nei fondi azionari europei, per sfruttare l’avvio della ripresa del Vecchio Continente.

2) In parallelo, si è registrata infatti una forte ripresa dell’economia tedesca. La novità ha spinto all’insù anche i rendimenti dei Bund, risaliti attorno all’1,85% ai massimi da 17 mesi. In questo caso la novità, combinata con la  maggior fiducia sulle sorti dell’euro,  ha provocato: a)  un’iniziale riduco dello spread con i titoli italiani e spagnoli, perché l’abbondanza di capitali piovuti in Europa ha consentito forti acquisti di Btp e Bonos; b) vive preoccupazioni nella politica tedesca e nella Bundesbank per eventuali tensioni inflattive.

3) La conseguenza più rilevante riguarda i Paesi Emergenti. Negli ultimi dieci anni, circa 1,2 trillioni di dollari sono stati investiti nelle economie di quello che un tempo era il Terzo Mondo. Quali conseguenze può avere l’esodo di questo capitali? I primi segnali sono evidenti: la rupia indiana è ai minimi sul dollaro da dieci anni, il governo indonesiano cerca di tamponare la crisi del ringitt e della Borsa, al pari della Thailandia. L’economia del Brasile, al pari di quella della Turchia, è in forte crisi mentre i governi sono costretti ad utilizzare la leva dei tassi per evitare il tracollo nei confronti del dollaro. E così via, passando per la pessima congiuntura russa o la frenata della Cina. E’ qualcosa di ben più rilevante di una crisi borsistica. Solo pochi mesi fa il vertice dei Brics dettava condizioni al Fmi contro l’eccessiva esposizione nei confronti dell’Europa e rivendicava nuove posizioni di vertice. Oggi New Dehli rischia di dover ricorrere all’aiuto del Fondo.

4) Si è chiusa, insomma, una stagione. Si rischia una nuova crisi asiatica? Probabilmente no, perché gli Emergenti sono molto più solidi, sia dal punto di vista della finanza che dell’economia, rispetto agli anni Novanta. Ma per alcuni Paesi, eccessivamente indebitati in dollari ed euro ed impegnati in colossali operazioni di investimento (Brasile e Turchia in testa) i prossimi mesi saranno difficili: i moti di piazza durane la Confederation Cup a Rio e le proteste di Istanbul sono state la punta dell’iceberg di un malessere sociale che si combina con la diffidenza degli investitori internazionali.

5) La fiducia nell’euro è stata ristabilita grazie agli interventi di Mario Draghi. La guidance di inizio luglio a favore di “un costo del denaro basso per tutto il tempo che sarà necessario” è stata la risposta europea al tapering (cioè la ventilata riduzione degli interventi sul mercato) della Fed. L’Europa, era il messaggio, non seguirà gli Usa perché il ciclo economico è ad uno stadio diverso. Ma allora la Germania era ancora in preda alla recessione. Ora, al contrario, la locomotiva promette di correre a pieno regime nel giro di pochi mesi. E Wolfgang Schaueble già dichiara che “i tassi devono salire ben oltre il 2%”. Nel frattempo il ministro tedesco riapre il dossier Grecia: il Paese, a settembre, avrà bisogno di nuovi interventi.

6) In sintesi, non si può non far proprio il consiglio di Mohamd El-Erian, amministratore di Pimco: “Non aspettate l’autunno per riposizionare il portafoglio”. All’insegna della sicurezza perché, aggiunge il gestore, si profilano quattro aree di incertezza: a) Gli Stati Uniti, il mese prossimo, dovranno decidere l’avvicendamento ai vertici della Fed, da cui potrebbe derivare maggior volatilità; b) In Europa l’autunno porterà con sè tre dossier esplosivi, ovvero Grecia, Cipro e Portogallo, sperando che un’eventuale crisi politica italiana non introduca nuovi allarmi; c) in Giappone l’Abenomics segna il passo di fronte al passaggio più difficile: riforma del fisco e del mercato del lavoro. La “rivoluzione” rischia di piantarsi a metà della salita; d) il Medio Oriente, infine, non promette nulla di buono. E la ritirata dei dollari dall’area può innescare nuovi focolai di crisi.

Insomma, le tanto attese minute della Fed non aggiungeranno molto di nuovo. Ma da stasera parte comunque un processo che chiuderà una stagione d politica monetaria durata 1.500 giorni. E molte cose, tra non molto, non saranno più come prima.  

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