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Superbonus, banche e assicurazioni non hanno spazio per i crediti incagliati

Imagoeconomica

La vicenda superbonus era complicata prima e ora con i crediti che sono rimasti incagliati lo sta diventando ancora di più. Diciannove miliardi di euro di crediti che le imprese edili hanno creato con lo sconto in fattura al cliente, cioè famiglie e condomini, sono ora un fardello molto pesante da smaltire.
L’aveva fatta facile giovedì scorso il direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini quando, in audizione alla Camera, ha detto che che istituti di credito e compagnie hanno spazi fiscali, cioè possono compensare i crediti con i loro debiti verso lo Stato, per un ammontare nel 2023 di 17,4 miliardi: 7,2 miliardi in capo agli istituti di credito e 10,2 miliardi alle assicurazioni.

I conti dell’Agenzia delle Entrate non tornano a banche e assicurazioni

Ma banche e assicurazioni hanno conti diversi in mano che non permettono la soluzione-Ruffini. Secondo una ricostruzione dell’Abi, riportata da Repubblica, l’Agenzia nei suoi calcoli non considera gli “impegni” di cessione, non ancora portati alla luce nel cassetto fiscale. Né tiene conto dei 77 miliardi di crediti già acquistati tra 2020 e 2022, esaurendo ogni spazio, come rivelato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche nel giugno scorso.

Le assicurazioni invece si chiamano fuori perché considerano l’operazione estranea al proprio business. Solo 15 compagnie su 120 hanno acquistato bonus edilizi, dice Ruffini. Di sicuro non quelle di “rilevanti dimensioni”. In ogni caso, nessuna ha esaurito la sua capacità di farlo. Anzi il loro spazio fiscale è di 10 miliardi contro i 7 miliardi delle banche. Solo 15 compagnie su 120 hanno acquistato bonus edilizi, dice Ruffini. Di sicuro non quelle di “rilevanti dimensioni”. In ogni caso, nessuna ha esaurito la sua capacità di farlo. Anzi il loro spazio fiscale è di 10 miliardi contro i 7 miliardi delle banche.

L’ammontare dei crediti potrebbe essere anche superiore ai 19 miliardi

Persino sull’ammonare totale i conti non sono per nulla chiari. Gli incagli potrebbero essere più dei 19 miliardi certificati da Ruffini. Il Milleproroghe infatti consente di comunicare all’Agenzia i crediti ceduti, relativi alle spese del 2022, fino al 31 marzo. Sfruttando però l’istituto della “remissione in bonis”, il contribuente si può spingere fino al 30 novembre, versando una piccola sanzione di 250 euro.

Intesa, Unicredit e Bpm non hanno al momento spazi

Le tre maggiori banche italiane sembrano attualmente prive di spazi, secondo la ricostruzione di Repubblica. Intesa Sanpaolo fa sapere di avere saturato la propria capienza mesi fa, dopo avere rilevato oltre 15 miliardi di crediti nel 2020, a fronte di circa 200 mila pratiche evase per oltre 70 mila clienti associati a oltre 160 mila immobili riqualificati nel Paese. Anzi da settembre, cogliendo l’opportunità del Dl Aiuti, ha avviato la ricezione di un terzo dei crediti, con contratti ad hoc per oltre 5 miliardi.
Unicredit, che a novembre scorso era ferma a quota 5 miliardi di crediti edilizi rilevati, non ha sforato la capienza fiscale, ma ha interrotto ogni nuovo acquisto dopo la nuova stretta per decreto. Mentre Banco Bpm ha finora acquistato 2,5 miliardi di crediti e assunto impegni fino a 4 miliardi, che considera il proprio plafond massimo. A meno di disdette di controparti già impegnate, ritiene quindi di non avere al momento spazi ulteriori.

I colossi assicurativi Generali, Unipol, Allianz e Zurich sono assenti dal dossier

Diverso il discorso per le assicurazioni che non hanno sportelli, né rapporti quotidiani con i loro clienti, in gran parte tra l’altro persone fisiche e non imprese. Come emerge dalla relazione di Ruffini, a mancare all’appello sono i grandi nomi: Generali e Unipol, le due protagoniste del mercato italiano, sono praticamente assenti dal dossier. I due gruppi lo spiegano in modo analogo con la scelta di focalizzarsi sui servizi alla persona e di avere reti di agenzie non strutturate per gestire l’attività di acquisto e compensazione crediti. Per queste ragioni, non sembrano intenzionate a ripensarci, nonostante la moral suason del governo. Quanto alle compagnie straniere – come Allianz e Zurich – la stessa Agenzia delle Entrate rimarca che “potrebbero avere una scarsa propensione ad acquistare bonus edilizi”. Anche perché quei crediti rappresenterebbero un “rischio Stato”: e tra aumento dei tassi e nuove regole sul capitale assicurativo in Europa non è questo il momento per intestarsi altri miliardi di debito pubblico italiano.

L’altra faccia del superbonus: i conti pubblici

Se da una parte banche e assicurazioni si sfilano dalla moral suasion del governo, dall’altra si accende un faro anche sui conti pubblici, anch’essi drogati dal superbonus. Il governo prima ha portato il credito d’imposta dal 110% al 90% dei costi, poi ha bloccato la cessione generalizzata dei crediti.

Si tratta di capire se le minori entrate future sono già integrate nelle stime, per esempio quelle che il governo ha pubblicato con l’ultima Nota di aggiornamento (Nadef in ottobre). Le nuove indicazioni Eurostat che portano a contabilizzare subito il deficit legato ai crediti fiscali maturati dai contribuenti per i lavori edilizi, Superbonus in primis, sono pesati sull’Italia. Nel 2022 il rapporto deficit/Pil italiano si è attestato all’8%. Nella Nadef, il Governo aveva previsto un deficit al 5,6%. A pesare sull’aumento, ha sottolineato l’Istat, è stato proprio l’impatto dei crediti d’imposta, e soprattutto del Superbonus.

Il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti non ci prova neanche a nascondersi dietro un dito: “Mi pare inevitabile che l’impatto ci sia. Nella Nadef avevamo stimato un utilizzo forte dei crediti d’imposta, ma non così forte come poi si è manifestato” ha detto, anche se, ha aggiunto “la reazione del mercato e delle autorità europee mi sembra positiva, perché tutti apprezzano che si sia fatta chiarezza e si sia tirata una riga”. Quell’ingranaggio, dice Giorgetti, “aveva generato un’illusione: certi cittadini e certe imprese hanno iniziato a dare per scontato che lo Stato avrebbe pagato subito a tutti l’intero costo dei lavori, non a rate in cinque anni. Ma questo non è mai stato un diritto. Abbiamo dovuto riportare un po’ di ordine, mi pare che tante persone abbiano capito”.
Il ministro non nega che un campanello d’allarme sui conti sia emerso nel fabbisogno di gennaio e febbraio: nei due mesi emerge un rosso di ben 16 miliardi superiore a un anno fa, perché molti detentori dei crediti d’imposta hanno iniziato a compensarli con le loro tasse.

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