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Sui dazi il Wto ha bloccato Trump: ecco come

FIRSTonline

L’iniziativa dell’amministrazione Trump di gravare con dazi aggiuntivi le importazioni di diversi prodotti provenienti dalla Cina è stata recentemente censurata dall’Organo di Risoluzione delle Controversie del WTO, con una decisione che non ha destato sorpresa tra gli addetti ai lavori. 

La Cina si era rivolta all’istituzione internazionale contestando le misure adottate dall’amministrazione americana, la quale – basandosi sui risultati di un’indagine del Rappresentante degli Stati Uniti per il Commercio Internazionale (USTR) sulle politiche e pratiche della Cina nell’ambito dei diritti di proprietà intellettuale – aveva introdotto unilateralmente le misure daziarie contestate, applicando la procedura prevista della Sezione 301 del Foreign Trade Act del 1974 (una normativa statunitense – antecedente l’Accordo di Marrakesh che ha istituito il WTO – mirante a sanzionare pratiche commerciali straniere che, a giudizio dell’USTR, sarebbero in violazione di accordi commerciali o penalizzerebbero illegittimamente gli Stati Uniti). 

In risposta, l’Amministrazione americana ha motivato la sua iniziativa con la necessità di proteggere la propria “moralità pubblica”, facendo quindi leva su una delle eccezioni generali previste all’art. XX del GATT. Più nello specifico, a parere degli Stati Uniti “ le azioni, le politiche e le pratiche della Cina esaminate nel Report dell’USTR equivalgono a furto e appropriazione indebita di tecnologia, proprietà intellettuale e segreti commerciali degli Stati Uniti, comportamenti che violano la morale pubblica dominante negli Stati Uniti.” (punto 7.100 della sentenza); le misure in causa sarebbero dunque state adottate con lo scopo di “ottenere la cessazione di un comportamento” che violava tale morale (7.113).  

Il ricorso alle eccezioni di cui all’articolo XX del GATT consente ai paesi membri, a determinate condizioni, di adottare misure di limitazione degli scambi altrimenti vietate dal trattato. Nella giurisprudenza del WTO vi sono stati diversi casi nei quali è stata riconosciuta la tutela di obiettivi di moralità pubblica, quali la protezione dei minori e dei ludopatici nella pratica di giochi (Caso USA-Giochi, WT/DS285/AB/R), o la protezione del benessere degli animali (caso CE-Prodotti derivanti dalle foche, WT/DS400/R), solo per fare alcuni esempi. 

Nel caso di specie (WT/DS543/R) i giudici, pur non escludendo – almeno sul piano concettuale – che la protezione dei diritti di proprietà intellettuale potesse ritenersi ricompresa nel concetto di “moralità pubblica” espresso dalla nazione nordamericana (punto 7.140), hanno tuttavia ritenuto che gli Stati Uniti non avessero spiegato la relazione esistente tra gli specifici prodotti gravati con i dazi aggiuntivi, e gli obiettivi di moralità pubblica che essi invocavano. Si legge nella motivazione: “La portata delle misure restrittive giustificabili ai sensi dell’articolo XX, lett. a) è determinata sia dall’obiettivo di moralità pubblica invocato, che dal requisito che le misure adottate siano necessarie per conseguire tale obiettivo. In altre parole, è necessario che vi sia una relazione tra la misura adottata e l’interesse tutelato dall’obiettivo politico in questione.” (7.236) Su questi presupposti la vertenza è stata risolta a favore del paese asiatico. 

La procedura in base alla quale l’amministrazione americana ha introdotto le misure daziarie contestate (la Sezione 301 del Foreign Trade Act del 1974) non era ricompresa nel perimetro della controversia decisa il 15 settembre scorso, ma in passato era già stata sottoposta al vaglio dell’Organo di Appello del WTO a seguito di un ricorso presentato nel 1998 dall’UE (al tempo CE) contro gli Stati Uniti (WT/DS152/R). Richiamando il contenuto dell’art. 23 dell’Accordo sulla Risoluzione delle Controversie del WTO (DSU) – la cui finalità è proprio di impedire che i suoi membri risolvano con atti ritorsivi unilaterali le controversie che insorgono tra loro – la CE evidenziava come le previsioni del Foreign Trade Act confliggessero con gli impegni assunti dagli Stati Uniti con l’adesione al WTO, e come le stesse dovessero pertanto essere modificate in senso conforme ai trattati. 

Con una lunga e dettagliata argomentazione, i giudici ritennero che, sebbene la Sezione 301 violasse formalmente le previsioni dei trattati Gatt  e DSU – laddove consentiva agli USA di introdurre unilateralmente dazi ritorsivi prima di (e a prescindere da) l’esaurimento di una procedura condotta in base all’Accordo sulla Risoluzione delle Controversie del WTO – ciò non significava che, in concreto, gli Stati Uniti stessero commettendo una violazione: poiché la normativa statunitense prevedeva la facoltà (di agire in violazione del DSU) e non l’obbligo, non sarebbe sussistita violazione fin tanto che il paese non avesse adottato, in concreto, misure ritorsive nei confronti di un membro del WTO (non rilevando eventuali misure adottate verso paesi non membri). 

Determinante nella decisione dei giudici fu la circostanza che, nel provvedimento amministrativo di ratifica dei trattati del WTO, l’Amministrazione americana si fosse formalmente impegnata a fondare le decisioni assunte ai sensi della sezione 301 non su una propria determinazione unilaterale, ma esclusivamente sui risultati di una procedura previamente condotta davanti all’Organo di risoluzione delle Controversie del WTO; nelle sue conclusioni precisò chiaramente che: “Alla luce (…) degli impegni assunti dagli Stati Uniti (…) in attuazione degli Accordi dell’Uruguay Round – impegni confermati e rafforzati nelle dichiarazioni rese dagli Stati Uniti a questo Organismo – riteniamo che i contenuti delle sezioni 301-310 dello United States Trade Act sottoposti alla nostra valutazione nella presente controversia non sono in contrasto con gli obblighi degli Stati Uniti nel WTO. Va sottolineato che questa conclusione si basa (…) sugli impegni dell’amministrazione degli Stati Uniti sopra menzionati. Ne consegue quindi che, qualora detti impegni fossero contraddetti o violati in qualsiasi modo dall’Amministrazione degli Stati Uniti (…) il presente giudizio di conformità non troverebbe più giustificazione”. (punto 8.1). 

Gli Stati Uniti hanno sempre rispettato l’impegno assunto, a prescindere dall’orientamento politico dell’amministrazione in carica. Fino all’avvento dell’Amministrazione Trump. 

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