Le autorità di Panama, Paese di bandiera della petroliera Ever Given, hanno aperto un’inchiesta sull’incidente che mercoledì ha portato la nave a bloccare il Canale di Suez. Fin qui, si sa solo che l’imbarcazione – di proprietà della compagnia taiwanese Evergreen – è uscita fuori rotta a causa di una tempesta di vento e sabbia, ha ruotato su se stessa fino a mettersi di traverso e si è incagliata, chiudendo il passaggio.
Questa mattina il transito è ripreso solo parzialmente, attraverso il ramo storico del Canale, inaugurato nel 1869 in Egitto e realizzato con l’apporto fondamentale di alcuni ingegneri italiani. Intanto, sono ancora al lavoro i rimorchiatori e le scavatrici che cercano di disincagliare la petroliera panamense, alta e larga 60 metri, come un palazzo di 20 piani, e lunga circa 400, più dell’Empire State Building.
La rilevanza economica del caso è di primo livello. Dal Canale di Suez passa il 30% delle navi portacontainer del mondo e l’infrastruttura è decisiva per circa il 10% del commercio globale via mare. Per rimettere in navigazione la Ever Given e sbloccare il Canale ci vorranno giorni e i timori per l’approvvigionamento hanno già fatto aumentare del 5% il prezzo del petrolio. Il rischio è però che l’incidente abbia ripercussioni pesanti sull’intero commercio mondiale, già provato dalla pandemia.
Il Canale di Suez è stato allargato in tempi relativamente recenti: l’inaugurazione dell’ampliamento – una cerimonia faraonica presieduta dal despota egiziano, il generale al Sisi – risale al 2015. Si tratta di un’infrastruttura decisiva, perché permette di evitare il passaggio dal Capo di Buona Speranza, ovvero la circumnavigazione dell’Africa, mettendo in comunicazione diretta il Mar Mediterraneo con il Mar Rosso e accorciando quindi drasticamente i tempi di percorrenza di quella che una volta era nota come Via delle Indie.