Al ventitreesimo giorno di guerra in Sudan non si vedono spiragli di pace o di risoluzione del conflitto con una parte che riesca a prevalere sull’altra. Nell’area di Khartoum proseguono gli scontri con le truppe delle Rapid Support Force (RSF) di Dagalo che hanno occupato posizioni strategiche e che le mantengono. Le RSF si nascondono spesso in strutture civili, ad esempio sembra che occupino 12 ospedali nell’area metropolitana di Khartoum, che hanno chiuso al pubblico. I soldati dell’esercito regolare delle Sudan Armed Force (SAF) di al-Burhan, godono di una netta superiorità in armamenti pesanti e ne fanno ampio uso con raid aerei anche nella capitale, ma fanno fatica a riconquistare le posizioni poiché la tattica delle RSF di mascheramento in strutture civili e la loro rapidità di movimento data dall’uso di pick-up civili li pongono al riparo da una rapida identificazione.
Dall’interno del paese giungono altresì notizie preoccupanti: la città di Nyala, capitale del Sud Darfur, abitata da oltre mezzo milione di persone è divisa in due dai combattimenti. La parte occidentale, controllata dall’esercito, comprende la segreteria del governo, i ministeri, il comando dell’esercito e le caserme mentre, la parte orientale, che comprende l’aeroporto di Nyala, gli edifici dei servizi segreti e il quartier generale della polizia sono sotto il controllo della RSF dai primi giorni dei combattimenti dal 15 aprile. In mezzo alle parti in guerra oltre 60 civili hanno già perso la vita qui. Nella vicina Geneina capitale dell’Ovest Darfur i morti sono già oltre 200.
Diplomazia
Mentre delegazioni delle parti sono a Jeddah in Arabia Saudita per colloqui su una possibile tregua, Al Arabya ha riportato di un incontro avvenuto a Bengasi nei giorni scorsi tra emissari egiziani e il generale libico Haftar, a cui è stato chiesto di non prestare aiuto alle Rsf. L’uomo forte della Cirenaica, stando sempre alle indiscrezioni della stampa araba, avrebbe offerto rassicurazioni agli egiziani sulla sua neutralità. Se così non fosse, dopo quasi un decennio, l’alleanza tra Haftar e l’Egitto potrebbe svanire o quantomeno essere messa in discussione. Questo fatto comunque evidenzia che l’Egitto, come da tradizione, sta appoggiando l’esercito regolare sudanese, anche se al momento non sembra con grandi mezzi.
Crisi umanitaria ed effetto domino
I combattimenti stanno causando una profonda crisi umanitaria in tutto il Sudan. Con un’economia già a pezzi, la guerra sta dando un irreparabile colpo di grazia. A Khartoum molti ospedali sono chiusi o danneggiati, scarseggiano gli aiuti internazionali, acqua e cibo non sono alla portata di migliaia di persone. E così l’unica ancora di salvezza è data dalla fuga verso i Paesi vicini. L’Egitto ha registrato almeno 40 mila accessi dalla propria frontiera dall’inizio del conflitto, ma tanti altri stanno raggiungendo il confine ed altrettante sono invece le persone che sono scappate in Ciad, almeno stando ai dati ufficiali delle Nazioni Unite. In molti potrebbero aver oltrepassato la frontiera senza essere registrati. Il confine Libico-Sudanese di 382 chilometri è scarsamente e presidiato perciò anche da qua i Sudanesi scappano. Decine di migliaia di persone si sono altresì riversate in Sud Sudan, Repubblica Centrafricana, Etiopia ed addirittura in Eritrea, spesso anche profughi in Sudan di questi stessi paesi. Il Sudan ne ospita oltre un milione e se rientrano nei paesi da cui erano scappati, vuol dire che la situazione è proprio disperata, poiché oltre ai combattimenti stanno scappando dalla fame causata dalla cessazione degli aiuti nei campi profughi. Queste masse di persone, che si muovono su mezzi di trasporto locali come minibus, bus e camion, che esistono e che già sono utilizzati per muoversi, senza bisogno di chissà quali organizzazioni, potrebbero rapidamente trovarsi sulle sponde del “Mar Nostrum”.
Questi profughi andrebbero ad incidere su realtà già in crisi. Il Cairo è alle prese al proprio interno con una grave crisi economica. Sopportare il peso della pressione migratoria dal Sudan rischia di aggravare la situazione. Ma gli occhi in tal senso sono puntati soprattutto sul Ciad. Il Paese da anni ospita 400mila rifugiati sudanesi, arrivati negli anni del conflitto del Darfur. L’afflusso massiccio di migranti potrebbe ora far collassare la situazione economica e sociale del paese. In Libya vi sono già centinaia di migliaia di profughi dell’Africa sub-sahariana pronti ad imbarcarsi per l’Europa è perciò questo effetto domino, si riverserà con un impatto pesante anche sul nostro Paese. L’intreccio tra dossier libico e sudanese, unita alla pressione migratoria capace di far collassare il Sahel, per Roma significa vivere con un doppio spettro: quello di una destabilizzazione della Libia e quello di un maggiore flusso migratorio. Un flusso generato direttamente dal Sudan oppure spinto dalle difficoltà dei Paesi del Sahel e della stessa Libia di far fronte all’emergenza. Guai quindi a sottovalutare il conflitto nel Sudan e a considerarlo come mera guerra tra bande, si tratta di una guerra civile vera e propria, capace di incidere molto negativamente su un’area strategica e vitale anche per i nostri interessi nazionali.