“Nel decennio che ha preceduto la pandemia, il peso economico del Mezzogiorno si è ulteriormente ridotto: il divario con il Centro Nord in termini di tassi di occupazione e di prodotto pro-capite è tornato ad ampliarsi e i livelli di produttività sono rimasti ampiamente inferiori a quelli del resto del Paese”. Lo ha detto lunedì il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, al convegno di presentazione del rapporto “Il divario Nord-Sud: sviluppo economico e intervento pubblico”, curato dagli economisti di Via Nazionale.
L’andamento del Pil
Secondo lo studio, nel 2019 il Pil del Sud Italia era ancora inferiore del 10% a quello del 2007. Nel Centro-Nord, invece, il divario era molto più basso: -2%. Nella media del 2020 la caduta del prodotto è stata del 9% al Centro Nord e dell’8,6% nel Mezzogiorno. Tuttavia, nel quarto trimestre 2021 il Pil nel Centro Nord era tornato quasi ai livelli pre-pandemici, mentre quello del Sud era ancora inferiore di circa un punto percentuale.
Le imprese private
Questo andamento è dovuto in primo luogo a un “sistema produttivo sottodimensionato rispetto al peso demografico dell’area – ha continuato Visco – caratterizzato dal prevalere di microimprese, da una specializzazione nei servizi a minore valore aggiunto e da una bassa densità di attività manifatturiere, che ne limitano l’accesso ai mercati internazionali”. Dinamiche a cui corrisponde una maggiore dipendenza dell’economia meridionale dal settore pubblico.
Nel 2019 la dimensione media delle imprese del Mezzogiorno (3,2 addetti) risultava di circa un terzo inferiore a quella del Centro Nord. Una differenza che si riflette nei livelli di produttività medi, più bassi di circa il 24% rispetto al Centro Nord per il totale dell’economia e di quasi il 30% nel solo settore privato.
L’arretratezza dell’imprenditoria meridionale è testimoniata anche dalla bassa incidenza della manifattura high tech, che si ferma al 9,6%, contro il 19,9% del Centro Nord. Il divario trova riscontro negli investimenti in ricerca e sviluppo, che al Sud non vanno oltre lo 0,96% del Pil, mentre al Centro Nord arrivano all’1,6%.
Occupazione e disuguaglianze
Sul fronte del lavoro, i numeri sono ancora più allarmanti. Nel 2019 solo il 44,5% della popolazione fra i 15 e i 64 anni risultava occupata nel Mezzogiorno, contro il 66,6% del Centro Nord. Nel complesso, tra il 2007 e il 2019 il tasso di occupazione è cresciuto di 1,4 punti nel Centro Nord e si è ridotto di 1,7 punti al Sud.
Lo scarto è cresciuto dai circa 7 punti della fine degli anni 70 fino ai 22 punti registrati alla vigilia della pandemia. Non solo: se ordiniamo le quasi 300 regioni dell’Unione Europea in base al tasso di occupazione, le maggiori del Mezzogiorno (Sicilia, Campania, Calabria e Puglia) si collocano negli ultimi 10 posti della graduatoria.
“I tassi di partecipazione al mercato del lavoro, soprattutto per le donne, si collocano su livelli tra i più bassi nel confronto internazionale, anche rispetto alle altre regioni europee in ritardo di sviluppo – ha detto ancora Visco – Oltre a dar conto di più della metà del divario nel prodotto pro capite rispetto al Centro Nord, i bassi livelli di occupazione costituiscono la fonte primaria della elevata diseguaglianza dei redditi familiari che caratterizza le regioni meridionali”.
A questo proposito, Bankitalia stima che un innalzamento dei livelli di occupazione nel Mezzogiorno sui valori osservati nel Centro Nord, oltre ad abbattere i differenziali di reddito e di diseguaglianza tra le due macroaree, sarebbe da solo in grado di ridurre di due punti percentuali l’indice di Gini calcolato per l’intero Paese, allineando l’Italia alla media europea.
Demografia
Su questi problemi incombe poi lo spettro della crisi demografica: secondo le proiezioni Istat citate da Bankitalia, tra il 2020 e il 2040 la popolazione in età da lavoro si ridurrà del 14% al Centro Nord (quasi 3,5 milioni di persone) e di oltre il 24% nel Mezzogiorno (con una flessione di circa 3 milioni di abitanti).
Secondo Visco, questo fenomeno è “il riflesso anche di una minore capacità delle regioni meridionali di attrarre i lavoratori stranieri e trattenere i giovani nel territorio. Senza un deciso innalzamento della partecipazione al mercato del lavoro, delle opportunità di impiego e dei livelli di produttività, queste tendenze finiranno per indebolire ulteriormente lo sviluppo del Mezzogiorno, con evidenti conseguenze per l’intero Paese”.