Nel 2023 il Pil italiano crescerà dell’1,1%, una media tra il +0,9% del Mezzogiorno e il +1,2% del Centro-Nord. È quanto si legge nelle anticipazioni del rapporto 2023 di Svimez sull’economia e la società del Mezzogiorno presentate oggi, martedì 18 luglio.
Svimez: crescita spinta dal Pnrr, agganciata la ripresa post Covid
Le previsioni di crescita si basano sull’ipotesi di un utilizzo parziale delle risorse del Pnrr. Con il pieno utilizzo dei fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza potrebbe andare anche meglio, con il prodotto interno lordo del Sud che, già nel 2023 potrebbe far segnare già una crescita superiore di circa 5 decimi (fino all’1,4%) e di circa 4 decimi nel Centro-Nord.
“La notizia più rilevante è che nella dinamica post Covid il Mezzogiorno ha agganciato la ripresa nazionale facendo segnare tassi di crescita sostanzialmente in linea con il resto del Paese” ha affermato il direttore della Svimez, Luca Bianchi, nel corso della presentazione delle Anticipazioni del rapporto Svimez 2023, spiegando che nel 2022 il Pil del Mezzogiorno è cresciuto del 3,5%, a fronte di una media nazionale del 3,7%. “Il Sud cresce come la media europea, se noi lo confrontiamo con le dinamiche degli ultimi anni è ovviamente un cambiamento”, ha sottolineato Bianchi, sottolineando che negli ultimi due anni (2021-22) il Mezzogiorno è cresciuto del 10,7%, il Centro-Nord dell’11% e il Nord-Ovest del 9,9%.
Nonostante la galoppata effettuata, il Pil del Sud Italia rimane inferiore del 7% ai livelli raggiunti nel 2008, principalmente a causa “della lunga stagione di ampliamento dei divari territoriali nel decennio pre-pandemia”.
Svimez evidenzia inoltre gli effetti dell’innalzamento dei tassi d’interesse da parte della Bce, sottolineando che “Un ulteriore incremento del tasso di riferimento dal 4,25 a 4,75 a fine anno avrebbe un ulteriore effetto depressivo più forte nel Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord”, ha detto il direttore Bianchi
Svimez: al Sud un dipendente su quattro guadagna meno di 9 euro l’ora
Nello stesso giorno in cui in Parlamento si vota (e si approva con ogni probabilità) l’emendamento soppressivo che cancella tutti e otto gli articoli della proposta di legge sul salario minimo, dai dati Svimez emerge che in Italia circa 3 milioni di lavoratori hanno una retribuzione oraria inferiore ai 9 euro l’ora. Di questi, circa un milione sono al Sud dove la loro quota raggiunge il 25,1% degli occupati dipendenti, oltre uno su quattro.
Anche la perdita di potere d’acquisto interessa soprattutto il Mezzogiorno in Italia così come il lavoro povero. Nel 2022 le retribuzioni lorde in termini reali sono di tre punti più basse nel Centro-Nord rispetto al 2008; nel Mezzogiorno di dodici punti.
Rimanendo sul fronte occupazionale, nel periodo successivo alla pandemia, il Mezzogiorno è riuscito a recuperare i livelli pre-Covid (+22mila occupati nella media del 2022 rispetto al 2019), ma i posti di lavoro rimangono comunque inferiori di circa 300mila unità ai livelli raggiunti nel 2008. Tra il primo trimestre del 2021 e il primo trimestre del 2023, l’occupazione è cresciuta a livello nazionale del +6,5%, segnando +7,7% al Sud (+442 mila occupati). Per la prima volta dopo molti anni è cresciuta anche la componente a tempo indeterminato, soprattutto al Sud (+310 mila unità; +9% rispetto al +5,5% del Centro-Nord).
Pnrr non colmerà i divari su scuola e infanzia
Complessivamente, fino al 2027, l’impatto cumulato del Pnrr sul Pil italiano potrebbe raggiungere un valore pari a 5,1 punti percentuali: 8,5 al Sud e 4,1 nel Centro-Nord, stima la Svimez. E dunque potrebbe persino chiudere il divario storico tra le aree del Paese.
Tuttavia il Pnrr non basterà a colmare i divari territoriali nell’offerta di servizi per l’infanzia e nella scuola. La Svimez ha infatti valutato il grado di aderenza del Pnrr alle sue finalità di coesione territoriale studiando gli esiti della allocazione delle risorse agli enti territoriali per gli investimenti in asili nido e istruzione.
Per i 10,7 miliardi circa assegnati alle amministrazioni locali, si osserva la sostanziale assenza di correlazione tra livelli di spesa per studente e indicatori di fabbisogno a livello provinciale. Sebbene la “quota Sud” sia stata rispettata, gli enti territoriali delle tre regioni meridionali più popolose – Sicilia, Campania e Puglia – hanno avuto accesso a risorse per studente per infrastrutture scolastiche inferiori alla media italiana. La distribuzione provinciale delle risorse assegnate ai Comuni segnala significative differenze intra-regionali, soprattutto nelle regioni più grandi. Napoli e Palermo si trovano tra le ultime quindici province nella graduatoria per risorse per studente assegnate pur avendo, ad esempio nel caso delle mense, una percentuale bassissima di studenti che possono usufruirne (rispettivamente 5,7 e 4,7).
Sud: persi 460mila laureati
In questo contesto continua la fuga dei cervelli. Tra il 2001 e il 2021 circa 460.000 laureati hanno lasciato il Sud per trasferirsi al Centro-Nord. Nello stesso periodo, la quota di emigrati meridionali con elevate competenze (in possesso di laurea o titolo di studio superiore) si è più che triplicata, da circa il 9 a oltre il 34%. Tant’è che dei 460mila laureati che si sono trasferiti, 130mila erano in possesso di una laurea Stem.
Fitto: Il Sud ha grandi potenzialità
I dati del Rapporto Svimez “lasciano intendere grandi potenzialità e rischi per il Mezzogiorno, luci e ombre. Le potenzialità vanno accompagnate e i rischi evitati anche con interventi di riprogrammazione che stiamo portando avanti”, ha detto. il ministro agli Affari Europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il Pnrr, Raffaele Fitto, alla conferenza stampa sulle Anticipazioni del Rapporto Svimez 2023 dove ha annunciato che “ci sarà un protocollo di intesa per lavorare insieme con Svimez”.