“Vengo da un mondo nel quale prima si fanno le cose, poi si annunciano e dopo si commentano e non il contrario”: con questa battuta, che è il frutto di una concezione giustamente riservata del business e maturata nel mondo delle banche e della finanza internazionale dove è cresciuto, il nuovo presidente di Cassa depositi e prestiti Claudio Costamagna ha gelato le attese di chi pensava che la presentazione del nuovo piano industriale della Cassa fosse l’occasione buona per scoprire le carte su Telecom e sulla banda ultralarga. Non è stato così e Costamagna ha in particolare declinato ogni commento sulla voce, periodicamente e un po’ troppo spensieratamente rilanciata da qualche quotidiano, secondo cui Cdp starebbe valutando la possibilità di conferire Metroweb (di cui ha il 46%) a Telecom in cambio di azioni, come se in Italia e soprattutto in Europa non esistessero autorità antitrust che molto difficilmente potrebbero approvare il rafforzamento del sostanziale monopolio di Telecom nella infrastruttura di rete della telefonia.
Costamagna, alla presenza del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e dell’ad di Cdp Fabio Gallia, ha però spiegato che sulla banda ultralarga “Telecom e Metroweb sono ancora al lavoro sul piano industriale per vedere se ha senso un’infrastruttura che coprirebbe 250 Comuni (in aree di mercato), non abbiamo ancora visto i risultati ma sembra che siano positivi. Se verificheremo la bontà del piano industriale, vedremo e ci sederemo al tavolo per valutare se ci possa essere anche un intervento sulla struttura azionaria o anche no. Ma lo stesso discorso lo portiamo avanti con altri operatori come Vodafone e Wind”. E lo stesso verrà fatto nelle aree svantaggiate del paese con Enel tlc.
La partita di Cdp nella banda ultralarga è dunque aperta ma per ora l’unica cosa sicura è che la Cassa intende valorizzare, come ha detto anche l’ad Fabio Galli, la propria partecipazione in Metroweb che è classificata nel nuovo piano industriale come “stabile”.
Quel che è certo è che le infrastrutture sono uno dei quattro focus su cui si concentrerà il nuovo piano industriale della Cdp, che è stato approvato all’unanimità dal cda e che punta a “mettere a disposizione del Paese risorse per 160 miliardi di euro in un arco temporale quinquennale” e ad attrarre più di 100 miliardi di euro da fondi nazionali ed esteri, pubblici e privati. L’impegno della Cdp nelle tlc andrà dunque collocato in questo orizzonte più ampio, anche se i tempi e le forme che assumerà il ruolo della Cassa nelle tlc restano tutti da definire.
Government e Pa, imprese e Real estate saranno gli altri tre campi prioritari d’azione della Cdp. In particolare sul versante del sostegno alle imprese la Cassa punterà a diventare il primo operatore italiano di venture capital, a favorire l’innovazione e lo sviluppo delle aziende, a riorganizzare le proprie partecipazioni, a sostenere l’internazionalizzazione e l’export attraverso un presidio unico presso la Sace e a intervenire nelle operazioni di ristrutturazione aziendale (da Ilva e Saipem) con il ruolo di anchor investor nella costituenda “società di turnaround” che dovrebbe nascere entro fine gennaio.
L’importante è allontanare da Cdp il pericolo di diventare una nuova Iri perché Costamagna, che negli anni Novanta, è stato con Goldman Sachs il più importante advisor del Governo italiano nelle privatizzazioni, sa perfettamente che del ritorno allo Stato imprenditore in qualunque forma non si sente proprio nessuna nostalgia. Il che non vuol dire ovviamente che, al di là delle nebbie ideologiche, lo Stato non debba difendere e sviluppare nel rispetto del mercato i pochi asset del Paese davvero strategici (e cioè essenziali per lo sviluppo del Pil e non replicabili) come le reti infrastrutturali sicuramente sono.
Insomma, per la nuova CdP molta carne al fuoco ma, al di là della qualità che contraddistingue il management, per giudicare il nuovo corso bisogna che prima arrivino i fatti.