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Studi di settore, la commissione Ue archivia la denuncia dell’Aidc (dottori commercialisti)

La Commissione Ue ha archiviato la denuncia, formulata dall’Aidc (Associazione italiana dottori commercialisti) e riguardante gli studi di settore ai fini Iva, dei quali si denuncia la corrente normativa (che, peraltro, verrà ulteriormente inasprita, nel nuovo decreto di semplificazione fiscale, unendo alla sanzione pecuniaria l’inserimento nelle liste selettive della GdF).

Per l’Aidc, infatti, il regime d’imposizione si fonda sull’articolazione di elaborazioni statistiche incomprensibili, e dunque non contrastabili dal contribuente nel successivo contraddittorio. Quest’ultimo (come confermato anche della Cassazione) invece di portare a un’effettiva personalizzazione dei ricavi, volta a verificare realmente la veridicità di quanto dichiarato, condurrebbe direttamente ad un accordo tra Agenzia e contibuente. Tale intesa, che continua a basarsi sul dato d’elaborazione statistica, prevede il pagamento da parte del contribuente di una cifra intermedia tra i ricavi annui dichiarati e quelli statisticamente supposti: è proprio questo che risulta illegittimo sul piano europeo.

Le motivazioni dell’archiviazione della denuncia sono le stesse già espresse nel luglio del 2011, attraverso una lettera dall’Unità (Iva) della commissione europea, che aveva risposto alle sollecitazioni dell’Aidc sconsigliando alle istituzioni di avviare un procedimento, ritenuto inutile, contro lo Stato italiano.

Nella lettera la Commissione faceva presente che le questioni sollevate dall’Aidc non rientravano nella competenza dell’Ue (dal momento che si riferiscono a questioni di controllo tributario e di riscossione). Inoltre sottolineava che già esisteva una sentenza della Cassazione (n.26636/2009) nella quale si escludeva l’applicazione automatica degli studi di settore. Infine ricordava che al contribuente non mancavano gli elementi probatori necessari a giustificare la propria posizione.

Ovviamente l’Aidc ha mal digerito tale decisione, confermando all’unanimità i motivi del proprio dissenso verso la normativa sugli studi di settore. Ha manifestato la propria disapprovazione anche verso la soluzione a cui sono giunte le istituzioni europee, (decisione che in effetti non convince del tutto), paventando anche il rischio di un’eccessiva indulgenza da parte dell’Ue verso i paesi indebitati al fine di evitare, contrastandone il gettito, di inficiarne la riduzione del disavanzo.

Secondo l’Aidc infatti le questioni relative agli studi di settore investono direttamente la determinazione della base imponibile (e quindi rientrerebbero nella competenza europea), peraltro con criteri che sono in contrasto con la direttiva Iva 2006/11/CE. Inoltre anche la Cassazione (nella relazione telematica 94/2009) ha rilevato come gli studi di settore, proprio per la loro complessa natura statistico matematica, non consentono al contribuente di fornire alcuna prova contraria sulla loro correttezza statistica, ritenuta dalla Cassazione stessa fortemente compromessa alla radice e inadatta ad afferire al caso concreto.

L’Aidc pone quindi il punto sul conflitto in cui, invece, le norme italiane entrerebbero con le norme comunitarie e sul concreto rischio che queste norme, seppur configgenti, rimangano, per così dire, “impunite” nel caso in cui i giudici tributari italiani, primi giudici naturali europei, non le contrastino adeguatamente.

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