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Stress test, sprofondano Mps e Carige

Dopo l’esame della Bce, Piazza Affari peggiora e il Ftse Mib perde lo 2,28%. Il mercato ha imboccato la via delle vendite: il crollo in avvio di seduta è verticale per le due banche finite sulla graticola: Banca Carige e Mps. Per entrambe i risultati sono stati peggiori delle attese e la Borsa ha reagito di conseguenza con tanto di sospensione al ribasso: -17% l’istituto genovese a 0,0765 euro per azione; -15% a Siena a 0,84 euro per azione con la Consob che ha introdotto il divieto di vendite allo scoperto sul titolo per oggi e domani. Non una sorpresa sui nomi degli istituti che si sono ritrovati con il cerino in mano. Ma probabilmente un dato inaspettato sul fronte dei numeri. A Banca Carige, che ha ieri immediatamente annunciato un aumento di capitale fino a 650 milioni, la Bce chiede nuove risorse per oltre 800 milioni, quasi l’attuale capitalizzazione di 942 milioni. A Mps servono 2,1 miliardi, quasi la metà di quanto la valuta ora il mercato (4,9 miliardi) e ora si ragiona su tutte le opzioni, persino un’eventuale fusione.

Ma anche le altre banche che hanno superato il test sono riuscite a festeggiare solo per poco (e con moderazione). Dopo un avvio inpositivo, gli istituti di credito hanno girato tutti in negativo con una raffica di sospensioni nonostante i 25 miliardi di surplus in dote dagli esami Bce:  Intesa -2,04% (10 miliardi di surplus), Unicredit -1,44%% (8,7 miliardi di surplus) e Ubi -3,25%% (1,7 miliardi), Banco Popolare -0,57%% mentre Bpm accelera la caduta arrivando a perdere il 5% circa.

QUANTO AVVERSO È LO SCENARIO AVVERSO? LA CORSA AD HANDICAP DELL’ITALIA

L’Italia, suo malgrado, ha catalizzato (in negativo) la cronaca degli stress test di ieri. “Venticinque banche falliscono gli stress test della Bce con l’Italia che riporta il risultato peggiore”, è stata una delle prime reazioni di Bloomberg. “Italia sotto pressione con nove banche che falliscono gli stress test”, così ha titolato questa mattina il Financial Times sottolineando che “la banca centrale italiana è stata gettata sulla difensiva mentre il sistema bancario emergeva come il peggiore negli esami sulla salute del sistema finanziario. Gli ufficiali hanno giudicato irrealisticamente duri i parametri degli stress test”.

Il disappunto di Bankitalia non è stato esplicito ma è emerso con evidenza nella nota pubblicata da a stretto giro dopo quella della Bce e nei commenti della conferenza stampa. Il direttore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, ha descritto gli stress test dell’Eba come una corsa a handicap per l’Italia. Il primo handicap è lo scenario avverso particolarmente negativo su cui è stato costruito il test: “un calo di 12 punti di pil in un triennio che  nella storia d’Italia si è visto solo dopo la guerra”, ha detto Rossi. Uno scenario ipotetico che configurerebbe quindi un collasso dell’economia italiana, con gravi conseguenze ben oltre la sfera bancaria.

In Germania lo scenario avverso ha incorporato invece una contrazione cumulata del pil del 7,6% in tre anni con tassi d’interesse in aumento e calo dei prezzi dei titoli sovrani controbilanciata però dalla solidità offerta dai titoli sovrano tedeschi ai bilanci bancari. Il secondo handicap è la situazione da cui partivano le altre banche internazionali a livello di aiuti pubblici, a partire dalle tedesche con 250 miliardi di aiuto pubblico entrati nella valutazione di capitale di migliore qualità. Ecco perché nella sua nota di ieri Banca d’Italia ha voluto ribadire la solidità del comparto con 25 miliardi di surplus e il buon esito per tutte le banche italiane della prima parte della prova della Bce, ossia l’Asset quality review.

ALLA CONTA DEGLI STRESS TEST CADONO IN NOVE MA SETTE SI RIALZANO

La prova della Bce si compone infatti di due parti: la prima l’Aqr (un test su come sono valutati a bilancio gli asset); la seconda riguarda i famigerati stress test dell’Eba che hanno simulato il capitale di cui le banche avrebbero bisogno in caso di un peggioramento nell’economia, secondo un duplice scenario (uno base e uno particolarmente sfidante e avverso)E se ci si limita agli stretti risultati complessivi dell’analisi della Bce che si basa sui dati a fine 2013, sono ben nove le banche italiane che non superano l’esame dell’Eurotower, più di un terzo delle venticinque complessivamente bocciate a livello europeo (le altre 16 sono sono 3 greche, 3 cipriote, 2 slovene, e belghe e una ciascuna in Germania, Francia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Austria). Il conto si riduce comunque di un bel po’ però se si calcolano le misure che gli istituti hanno messo in atto nel corso del 2014 (le ricapitalizzazioni e le conversioni di bond convertibili attuate fino al 30 settembre 2014): a livello europeo da 25 si scende a 13 istituti, in Italia da nove si scende a quattro. Si salvano così Banco popolare, Bper, Creval, Banca Popolare di Sondrio, Veneto Banca. Ci sono poi Bpm e Banca Popolare di Vicenza che, sotto la lente di ingrandimento della Bce, hanno varato in extremis alcune misure che, ha fatto sapere Bankitalia nella sua nota di ieri, sono idonee a mettere al riparo le due banche .

E così sulla graticola sono rimaste in due: Banca Carige e Monte dei Paschi di Siena. Con richieste di nuove risorse peggiore delle attese.Al contrario, la Spagna ha superato senza problemi gli esami, Francia e Germania incassano un via libera senza rilievi (anche se a Berlino rimane l’incognita delle casse, migliaia di istituti minori esclusi dagli stress test su cui si fa sentire il recente peggioramento dell’economia). Persino Grecia e Cipro hanno portato a casa un risultato migliore delle attese. Ad Atene solo una delle quattro grandi banche greche dopo le azioni del 2014 non passa gli esami della Bce e comunque per pochi spiccioli: venti milioni di euro. A Cipro solo la Hellenic Bank dovrà raccogliere altri 176 milioni, con la strada in discesa: 71 sono già stati forniti e 105 verranno raccolti con un’emissione di titoli.

TAKEOVER A SIENA? I MALUMORI DI VIOLA E PROFUMO

A Siena si è trattata di una vera e propria gelata per la banca già alle prese con un difficile piano di ristrutturazione concordato un anno fa con la Commissione europea e a pochi mesi di distanza dal turbolento aumento di capitale da 5 miliardi. Se ci si aspettava una possibile bocciatura, non certo di questa entità. Tant’è che negli ultimi giorni il mercato aveva iniziato a ragionare su numeri che potevano escludere la necessità di un nuovo aumento di capitale. E in Borsa venerdì si era scatenata, sull’onda della speculazione, la corsa all’acquisto portando il titolo in rialzo di oltre il 10%. Ora lo scenario si è drammaticamente ribaltato.

Bisogna capire come raggranellare 2,1 miliardi e in fretta: ci sono 2 settimane di tempo per presentare i piani alla Bce e  fino a nove mesi per attuarli. Non va dimenticato che Mps per superare l’ultimo aumento di capitale ha dovuto ricorrere al supporto di due investitori esteri (brasiliani e messicani) che ora controllano la banca insieme alla Fondazione Mps con un 9% del capitale complessivo sindacato. Il disappunto a Siena non manca.

I vertici, in una  lunga e dettagliata nota pubblicata dall’istituto ieri pomeriggio, hanno contestato le modalità di svolgimento degli esami e rivendicato l’adeguatezza dell’aumento di capitale da 5 miliardi effettuato (una replica a chi in questi mesi ha messo in dubbio la scelta sull’entità dell’aumento, a partre dal finanziere Davide Serra che allo scorso workshop di Cernobbbio aveva parlato della necessita di un aumento di 6 miliardi).

Tuttavia sia il presidente Alessandro Profumo sia l’ad Fabrizio Viola sono consapevoli che non c’è né spazio né tempo per le recriminazioni e hanno già dato mandato a Ubs e Citigroup per “la definizione, strutturazione e implementazione delle azioni di mitigazione relative al capital plan, nonché per valutare tutte le opzioni strategiche a disposizione della banca”. In linguaggio più semplice il vertice Mps non esclude alcuna ipotesi, compresa la prospettiva di un takeover. “Siamo pronti a qualsiasi operazione” ha detto il presidente Profumo. Dal canto suo lo stesso vicedirettore generale della Banca d’Italia, Fabio Panetta (membro italiano del Supervisory board di Francoforte), ha detto che un’eventuale operazione di concentrazione che coinvolgesse Mps troverebbe la Banca d’Italia “estremamente felice, se fosse un’operazione in grado di rilanciare l’offerta di credito all’economia reale e rafforzare la solidità della banca”. E se lo dice Bankitalia le probabilità di nozze si alzano esponenzialmente.

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