Lo stop alle trivelle è ormai legge. Sulle fonti rinnovabili però i provvedimenti non decollano. La contrapposizione tra fonti fossili e energia verde sembra così dettata, ancora una volta, da posizioni preconcette piuttosto che da una vera strategia energetica volta ad accelerare la transizione in corso verso le fonti più pulite.
STOP ALLE TRIVELLE E DANNI DA RISARCIRE
Proviamo allora ad analizzare i fatti. Lo Stato ha messo in conto almeno 470 milioni per risarcire le compagnie petrolifere dei danni e dei mancati introiti legati al nuovo stop alle trivelle. La stima è del governo che l’ha inserita nella relazione tecnica al decreto Semplificazioni approvato in via definitiva giovedì scorso, 7 febbraio. Le compagnie in realtà pensano di poter pretendere di più, ma tutto dipenderà dalle cause o arbitrati che decideranno di intraprendere.
Ma cosa ha stabilito il decreto Semplificazioni? Da un lato sono stati fortemente rivalutati tutti i canoni di concessione sugli idrocarburi. Ma soprattutto, si è deciso che per un periodo di 18/24 mesi sono sospesi tutti i permessi di ricerca e prospezione di idrocarburi in mare e su terraferma in attesa che vengano predisposti i Piani per la Transizione energetica sostenibile delle Aree Idonee, se mai verranno fatti. Considerato che 39 compagnie petrolifere hanno permessi per rilevazioni sismiche e perforazioni di pozzi esplorativi e che in 9 hanno in corso richieste di concessioni per la coltivazione di idrocarburi, lo Stato ha dovuto comunque calcolare quanti soldi dovrà rimborsare alle compagnie danneggiate.
Per Ravenna e il suo indotto, è “un suicidio industriale” come ha dichiarato il presidente di Confindustria Romagna Paolo Maggioli. Il presidente della Regione Stefano Bonaccini e il sindaco di Ravenna Michele de Pascale, entrambi del Pd, con un ultimo e disperato tentativo hanno chiesto venerdì 8 febbraio al governo di escludere l’offshore ravennate dalla moratoria e che i futuri Piani per la transizione energetica tengano in conto l’industria locale. In quella zona d’Italia rischia infatti di “saltare” un distretto da diverse migliaia di addetti e un livello di avanguardia e competenza tecnologica che ci invidiano in Europa.
Il governo motiva la decisione – fortemente spinta dal Movimento 5 Stelle e accolta dalla Lega che in cambio ha incassato il passaggio alle Regioni delle concessioni idroelettriche – con la scelta di accelerare la transizione energetica verso le fonti rinnovabili. E certamente le fonti rinnovabili sono considerate, a livello planetario, una rivoluzione ormai irreversibile. Oltretutto i nuovi obiettivi europei – adottati dall’Italia con il Piano nazionale energia clima – ci impongono di coprire il 30% dei consumi finali lordi con energia prodotta da fonti rinnovabili entro il 2030.
STOP ALLE TRIVELLE MA I DECRETI SULLE RINNOVABILI?
Giusto. Ma è qui che le cose si complicano. Innanzitutto perché, anche centrando quegli obiettivi, il 70% dei consumi, sempre nel 2030, sarà ancora coperto da fonti fossili. E la nostra bilancia commerciale peggiorerà poiché con il diminuire della produzione nazionale salirà la nostra dipendenza dall’estero.
In secondo luogo, perché finora il governo non ha dato finora alcun segnale di volere accelerare sul fronte delle rinnovabili. I produttori elettrici non perdono la speranza: “Gli obiettivi fissati dal Piano Energia Clima – afferma Simone Mori, presidente di Elettricità Futura, la più importante organizzazione del settore – sono possibili e raggiungibili e ridurranno i costi delle bollette rispetto allo stato inerziale. E’ importante però partire subito con le aste dando un segnale chiaro al mercato che si procede nella giusta direzione. Fondamentale sarà affiancare questo passo con una forte semplificazione della macchina amministrativa”. A questo scopo è necessario che il governo partorisca il decreto che tutto il settore attende da tempo. Ma il decreto, previsto per fine 2017, ancora latita. Anche il precedente governo ha le sue responsabilità in questo ritardo, ma il cambiamento tanto sbandierato dal nuovo esecutivo lega-stellato non decolla. Ora pare che il provvedimento sia faticosamente arrivato all’attenzione di Bruxelles che ha 60 giorni per rispondere. Potrebbe quindi diventare realtà prima delle elezioni europee che sembrano diventate l’unico vero discrimine per ogni decisione politica o tecnica che conti.
FONTI RINNOVABILI, OBIETTIVI 2030 A RISCHIO
Nel decreto, inoltre, non c’è traccia delle procedure più snelle invocate dagli industriali nonostante l’importante mole di investimenti che il decollo delle rinnovabili potrebbe comportare. Secondo stime di Elettricità futura si tratta di 4,6 miliardi medi l’anno nel periodo 2019-2030 e di 80 miliardi complessivamente a fine periodo. Guardando all’occupazione, parliamo di 30.000 occupati temporanei a cantieri aperti di cui 15.000 resteranno permanenti.
Il punto è, come sempre, l’impasse degli enti locali. Gli investimenti comportano un aumento della superficie da destinare agli impianti fotovoltaici che dovrebbero passare dai 17.500 ettari occupati nel 2017 ai 55.000 ettari necessari per raggiungere gli obiettivi europei al 2030 (+210%). Per l’eolico si passerebbe da 155 a circa 200 ettari occupati. E’ quasi nulla paragonato alle terre coltivate (12,9 milioni di ettari). Ma riusciranno a superare i numerosi veti dei tanti poteri locali?
Questa è la grande incognita. Tanto che Anev, Greenpeace, Italia solare, Legambiente, Kyoto Club e Wwf, hanno scritto al vicepremier Luigi Di Maio sollecitando i decreti che recepiscano la normativa europea sulla generazione distribuita. “Senza – sostengono nella lettera – il raggiungimento degli obiettivi contenuti nella proposta di Piano Energia Clima al 2030 è impossibile”. Non resta dunque che attendere ma è importante che il governo dia un segnale costruttivo anziché limitarsi un settore strategico.