Il dibattito sugli stipendi degli insegnanti italiani si trascina da un po’ di anni con le caratteristiche di un dialogo tra sordi e nello stesso tempo non riesce davvero ad uscire, in termini di confronto di merito, dall’ ambito degli addetti ai lavori assumendo spesso connotazioni fortemente corporative. Sono ben note e largamente condivisibili le ragioni del disagio, materiale e morale, del mondo degli insegnanti, ma suscita perplessità il semplicismo che sconfina nel massimalismo con cui molto spesso questi problemi vengono affrontati. Ancor di più stupisce il rifiuto di affrontare questioni specifiche, evocate da un intervento del nuovo Ministro Valditara, per dare soluzione agli effetti perversi dell’egualitarismo retributivo tipico del mondo della scuola dove il modello contrattuale è fortemente centralizzato essendo lo Stato unico sostanziale interlocutore. Questa è una eccezione perché nei settori privati e in alcuni comparti pubblici come sanità, trasporto ed enti locali la contrattazione integrativa ricupera parte del potere d’acquisto perso con l’inflazione.
Stipendi insegnanti: l’aiuto del contratto integrativo. E se non c’è?
Ma laddove manca la contrattazione di secondo livello si finisce, soprattutto nei momenti di tensioni inflazionistiche, col dar vita ad un meccanismo di gabbie salariali “al contrario”: le retribuzioni reali di coloro che lavorano nelle aree dove è più alto il costo della vita si riducono in misura assai significativa rispetto a quelle di chi vive in ambiti territoriali dove l’inflazione morde di meno. In particolare per un insegnante che non possiede una casa nelle vicinanze della sua sede di lavoro la situazione rende difficilmente sostenibile ogni ipotesi di mobilità, segnatamente dal Sud al Nord del paese.
Siamo proprio certi, come è stato detto autorevolmente, che consentire uno stipendio adeguato per una normale vita di lavoro ad un giovane laureato di Napoli che vince una cattedra in una metropoli del nord, produca un effetto di desertificazione del Mezzogiorno? Viene anche da chiedersi: se questa affermazione fosse fondata, non legittimerebbe un giudizio negativo per tutta la contrattazione integrativa?
Le politiche contrattuali centralizzate: una sfida per il sindacato
Questa sfida dovrebbe essere raccolta in primo luogo dal sindacato perchè le politiche contrattuali centralizzate se da una parte attribuiscono ai gruppi dirigenti ruoli importanti, alla lunga danno risultati molto negativi .
Certo se si potessero garantire agli insegnanti col contratto nazionale retribuzioni nominali più vicine alla media europea sarebbe un bel passo in avanti. Ma non è realistico pensare che nell’attuale condizione della finanza pubblica italiana sia possibile colmare in misura significativa queste differenze senza provocare una più che probabile spinta alla rincorsa rivendicativa di altre categorie.
La scuola è il terreno di confronto più importante per il nostro paese, il prestigio e il rispetto di cui devono godere gli insegnanti è condizione necessaria per migliorare la società italiana, così come lo è il riconoscimento contrattuale dei diversi livelli di professionalità e di assunzione di responsabilità.
Delegittimare il dibattito sull’uguaglianza delle retribuzioni reali di tutti gli insegnanti sul territorio nazionale significherebbe ripartire da zero, rinunciare ad affrontare un problema che è sotto gli occhi di tutti per praticare altri obiettivi che, pur avendo giuste motivazioni, richiedono risorse enormi e debbono essere affrontati con le necessaria gradualità e sciogliendo nodi ancora irrisolti.