Addio, o forse arrivederci, al tetto di 240mila euro lordi stabilito sugli stipendi di alcune figure apicali della Pubblica Amministrazione. Un emendamento al decreto Aiuti bis approvato martedì dal Senato consente infatti di superare la soglia di 240mila euro, senza tra l’altro fissare alcun nuovo limite, se non la disponibilità di risorse presente nell’apposito fondo. Una misura che ha irritato, e non poco, il Presidente del Consiglio Mario Draghi, innescando una polemica che ha coinvolto il ministero dell’Economia e i partiti di maggioranza.
Stipendi, salta il tetto di 240mila per i dirigenti pubblici
L’emendamento approvato da Palazzo Madama prevede che:
“al capo della Polizia, al comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, al comandante generale della Gdf, al capo del Dap, così come agli altri capi di Stato maggiore, nonché ai capi dipartimento ed al segretario generale della presidenza del Consiglio, ai capi dipartimento ed ai segretari generali dei ministeri è consentito, anche in deroga al tetto di 240 mila euro previsti per i manager pubblici, un trattamento economico accessorio”, nel limite massimo di un fondo che dovrà essere definito da un ulteriore decreto dal governo, su proposta del ministero dell’Economia.
Parlando in parole povere, grazie al trattamento accessorio che si aggiunge allo stipendio base e che per i manager pubblici rappresenta una voce dominante della retribuzione, queste figure potranno guadagnare di più.
Il “tetto” era stato introdotto nel 2011 dal governo Monti con il decreto Salva-Italia e rivisto tre anni dopo dal governo Renzi.
L’irritazione del Premier Draghi e le polemiche dei partiti
La novità, votata da una larga maggioranza in commissione, non è per niente piaciuta (per usare un eufemismo) al Presidente del Consiglio Mario Draghi. Già nella serata di ieri Palazzo Chigi ha parlato di una “dinamica squisitamente parlamentare”, non condivisa dal Premier che ha accolto la notizia con “disappunto”. Draghi, infatti, considererebbe l’eliminazione del tetto inopportuna, tanto più in un periodo in cui famiglie e imprese faticano ad arrivare a fine mese a causa della crisi.
Il problema è che questa norma sembra non piacere nemmeno ai partiti che hanno dato il via libera in commissione. Non a caso, il Pd parla di “un emendamento di Forza Italia riformulato dal Mef, come tutti gli emendamenti votati oggi con parere favorevole, che non condividiamo in alcun modo” e annuncia un ordine del giorno al decreto Aiuti bis per impegnare “il governo a modificare la norma e ripristinare il tetto nel primo provvedimento utile e cioè nel dl Aiuti ter”.
Dello stesso avviso anche Matteo Renzi, che sottolinea: “È un tetto che avevo messo io. Oggi il governo ha fatto una riformulazione di un emendamento e non avevamo alternative” per impedirlo “per evitare che saltasse tutto”, ovvero l’approvazione da parte del Senato del decreto Aiuti bis. “Spero si torni al tetto Renzì di 240mila euro: non mi sembra un’idea geniale aumentare adesso gli stipendi ai massimi dirigenti, ma non potevamo che votare il decreto altrimenti saltavano 17 miliardi di aiuti”.
Tetto di 240 agli stipendi della Pa, cos’è successo davvero?
Insomma se Palazzo Chigi dà “la colpa” ai partiti, questi ultimi respingono l’addebito e se la prendono con il Mef. Com’è andata davvero e soprattutto perché il ministero dell’Economia ha dato via libera a un provvedimento che al Premier non piace per niente?
Il tetto è stato eliminato da un emendamento presentato da Forza Italia e riformulato dal Mef, che – lo ricordiamo nuovamente – è stato approvato a larga maggioranza dai partiti presenti in Commissione.
Il Mef però non ci sta a fare da capro espiatorio e spiega: i tecnici del ministero hanno effettuato solo una valutazione delle coperture individuate e votate dalla Commissione Finanze. Niente di più. E dato che le coperture c’erano, via XX Settembre non ha potuto fare altro che dare il via libera. Per l’attuazione della misura però, sottolineano, è necessario un provvedimento successivo.