L’accelerazione dell’inflazione “rischia di aumentare le disuguaglianze, sia per la diminuzione del potere d’acquisto, più marcata tra le famiglie con forti vincoli di bilancio, sia per le tempistiche dei rinnovi contrattuali, più lunghe in settori con bassi livelli retributivi”. Lo scrive l’Istat nel suo ultimo Rapporto annuale 2022, sottolineando che donne, giovani, residenti nel Mezzogiorno e stranieri si confermano i soggetti più fragili, insieme ai portatori di disabilità e ai loro familiari.
Istat: prezzi in aumento, stipendi in declino
Nel dettaglio, a marzo per le famiglie con forti vincoli di bilancio la variazione tendenziale dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo è risultata pari a +9,4%, 2,6 punti percentuali più elevata dell’inflazione misurata nello stesso mese per la popolazione nel suo complesso. E si tratta di un aumento dei prezzi che riguarda beni e servizi essenziali, il cui consumo difficilmente può essere ridotto. Oltre agli alimentari vi figura la spesa per l’energia, che questo segmento di famiglie destina per il 63% all’acquisto di beni energetici a uso domestico (energia elettrica, gas per cucinare e riscaldamento). Al contrario, tra le famiglie più benestanti oltre la metà della spesa per energia (55%) va in carburanti e lubrificanti.
Il declino dell’occupazione “standard” e il boom di quella “ibrida”
Nel tempo – ha ricordato l’Istat – è progressivamente diminuita l’occupazione standard, cioè quella a tempo pieno e a durata indeterminata, mentre sono sempre più diffuse modalità ibride di lavoro. La conseguenza è il peggioramento della qualità complessiva dell’occupazione. La combinazione tra contratti di lavoro di breve durata e intensità e una bassa retribuzione oraria si traduce in “livelli retributivi annuali decisamente ridotti”.
I lavoratori indipendenti sono progressivamente diminuiti – da quasi un terzo degli occupati all’inizio degli anni ‘90 a poco più di un quinto nel 2021 (circa 4,9 milioni) – per effetto del calo di imprenditori, lavoratori in proprio (agricoltori, artigiani, commercianti), coadiuvanti e collaboratori. Il 73,1% di questo segmento di lavoratori non ha dipendenti.
I lavoratori dipendenti a tempo determinato sono raddoppiati dall’inizio degli anni ‘90, attestandosi a 2,9 milioni nel 2021.
Negli anni è progressivamente aumentata la quota di occupazioni di breve durata: sempre nel 2021, quasi la metà dei dipendenti a termine ha un lavoro di durata pari o inferiore a 6 mesi.
L’occupazione a tempo parziale è passata dall’11% dei primi anni ‘90 al 18,6% dell’ultimo anno. Nel 60,9% dei casi il part-time è involontario, componente che ha mostrato la crescita più consistente. Quasi 5 milioni di occupati (il 21,7% del totale) sono non-standard, cioè a tempo determinato, collaboratori o in part-time involontario.
La povertà assoluta è più che raddoppiata dal 2005
Al contempo, negli ultimi dieci anni la povertà è progressivamente aumentata. Dal 2005 quella assoluta è più che raddoppiata: le famiglie coinvolte sono passate da poco più di 800mila a un milione 960mila nel 2021 (il 7,5% del totale). Per effetto della diffusione più marcata del fenomeno tra le famiglie di ampie dimensioni, il numero di individui in povertà assoluta è quasi triplicato, passando da 1,9 a 5,6 milioni (il 9,4% del totale).
La connotazione delle famiglie in povertà assoluta è progressivamente cambiata dal 2005. L’incidenza è diminuita tra gli anziani soli, si è stabilizzata tra le coppie di anziani, è fortemente cresciuta tra le coppie con figli, tra i monogenitori e tra le famiglie di altra tipologia (famiglie con due o più nuclei o con membri aggregati).
Una dinamica particolarmente negativa in termini di povertà assoluta si osserva per i minori (dal 3,9% del 2005 al 14,2% del 2021) e i giovani di 18-34 anni (dal 3,1% all’11,1%). Nel 2021 erano in povertà assoluta un milione 382mila minori, un milione 86mila 18-34enni e 734mila anziani (tra i quali l’incidenza nel tempo rimane sostanzialmente stabile e nel 2021 si attesta al 5,3%).
Le misure di sostegno economico erogate nel 2020, in particolare reddito di cittadinanza e di emergenza, hanno evitato a un milione di individui (circa 500mila famiglie) di trovarsi in condizione di povertà assoluta. Le misure di sostegno hanno avuto effetto anche sull’intensità della povertà, che, senza sussidi, nel 2020 sarebbe stata ben 10 punti percentuali più elevata, raggiungendo il 28,8% (a fronte del 18,7% osservato).
Stipendi bassi: un dipendente su 10 prende meno di 8,4 euro l’ora
Quanto ai salari, circa 4 milioni di dipendenti del settore privato (con l’esclusione dei settori dell’agricoltura e del lavoro domestico) – il 29,5% del totale – percepiscono una retribuzione teorica lorda annua inferiore a 12mila euro mentre per circa 1,3 milioni di dipendenti – il 9,4% del totale – la retribuzione oraria è inferiore a 8,41 euro l’ora. Tra questi, quasi un milione percepisce meno di 12mila euro l’anno.
I lavoratori a bassa retribuzione oraria (inferiore a 8,41 euro lordi) sono più spesso giovani fino a 34 anni, donne, stranieri (soprattutto extra-Ue), con basso titolo di studio e residenti nel Sud. Se in molti casi si tratta di giovani ancora nella famiglia di origine, non è infrequente che siano genitori soli o in coppia.
Con l’inflazione, gli stipendi reali torneranno ai livelli del 2009
La crescita dei prezzi osservata dalla seconda metà del 2021 fino a maggio 2022, in assenza di ulteriori variazioni al rialzo o al ribasso, potrebbe determinare a fine anno una variazione dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo pari a +6,4%. Senza rinnovi o meccanismi di adeguamento, conclude l’Istat, ciò comporterebbe un’importante diminuzione delle retribuzioni contrattuali in termini reali, che, a fine 2022, tornerebbero sotto i valori del 2009.