“È l’inizio di una nuova era”. Sono state queste le parole con cui il Cancelliere dello Scacchiere, Kwasi Kwarteng, ha presentato la riforma fiscale da 45 miliardi fortemente voluta dalla Premier Liz Truss che prevede tagli alle tasse per i cittadini più ricchi e per le imprese da finanziare interamente a debito. Finora però più che “di una nuova era” è stato l’inizio di un crollo storico della sterlina, di un’impennata dei rendimenti sui titoli di Stato inglesi e di una crisi di fiducia dei mercati nei confronti dell’economia britannica che non si era vista nemmeno in occasione del referendum sulla Brexit. Una tempesta perfetta che, come sottolinea il Financial Times, ha addirittura fatto passare in secondo piano la vittoria della destra alle elezioni italiane che fino a venerdì sembrava essere il timore principale degli investitori internazionali.
Il giudizio dei mercati sulla riforma fiscale britannica
Irresponsabile e rischiosa. Questo il giudizio implacabile dei mercati sul massiccio piano di tagli alle tasse per le fasce più ricche della popolazione annunciato venerdì dal Governo britannico. La domanda che tutti si pongono è essenzialmente una: come si può pensare di varare un piano strutturale così costoso finanziandolo interamente a debito e, per di più, in un periodo così duro per l’economia mondiale? Quella di Liz Truss è infatti una scommessa: secondo la Prima ministra solo riducendo le tasse ai più ricchi l’economia potrà tornare a crescere. Un azzardo in stile thatcheriano che porterà il deficit al massimo storico del 9%, in un periodo in cui il Regno Unito è già praticamente in recessione e senza alcuna garanzia sul fatto che “la cura” funzioni.
Le critiche del Fmi e il giudizio negativo di Moody’s
A peggiorare una situazione già di per sé più che delicata sono arrivate anche le critiche del Fondo Monetario Internazionale che, con una dichiarazione insolitamente esplicita, ha letteralmente demolito il piano del Governo Truss affermando che rischia di far salire ulteriormente l’Inflazione e di aumentare le disuguaglianze. Il Fmi, si legge nel documento, “non raccomanda ampi pacchetti di stimolo fiscale in questa congiuntura, perché è importante che le politiche di bilancio non agiscano in contrasto con la politica monetaria”. Le banche centrali di tutto il mondo, compresa la Bank of England, da mesi stanno infatti andando nella direzione opposta, aumentando i tassi di interesse allo scopo di far scendere i prezzi. Il Fondo, ritiene dunque che la presentazione del budget annuale (in programma per novembre, ndr.) rappresenterà un’opportunità per il governo britannico di trovare altre strade per garantire un supporto all’economia più mirato e per riconsiderare le misure fiscali annunciate, soprattutto quelle a favore dei contribuenti con redditi alti”.
Duro anche il giudizio di Moody’s. Secondo l’agenzia di rating, il piano di tagli fiscali del Governo britannico potrebbe condurre a deficit di bilancio più ampi e a tassi di interesse più elevati, minacciando la credibilità del Paese con gli investitori. I tagli, sottolinea Moody’s sono “negativi per il credito”. Non solo: “Uno shock di fiducia prolungato, derivante dalle preoccupazioni del mercato sulla credibilità della strategia fiscale del Governo, con conseguenti costi di finanziamento strutturalmente più elevati, potrebbe indebolire in modo più duraturo l’accessibilità del debito del Regno Unito”, ha affermato.
Il crollo storico della sterlina
La bocciatura dei mercati è stata tanto immediata quanto perentoria. Subito dopo la presentazione del nuovo pacchetto fiscale da parte del Cancelliere dello Scacchiere, l’equivalente del nostro ministro delle finanze, la sterlina è scesa a 1,102, toccando i minimi dal 1985. Il calo è continuato anche nei giorni successivi: lunedì la valuta inglese è scesa al minimo storico di 1,035 dollari, registrando il ribasso più ampio da quando il cambio è misurabile. Oggi un pound vale 1,0691 dollari. La sterlina è in ribasso anche nei confronti dell’euro (-3% in una settimana) e oggi si attesta a 0,8951 per un euro.
A raffreddare la tensione non è servito nemmeno il nuovo annuncio da parte di Kwarteng, che ha anticipato i piani per una nuova strategia fiscale a medio termine. Il 23 novembre sarà pubblicato il “Piano di bilancio a medio termine“, che fornirà ulteriori dettagli sulle regole di bilancio del governo, inclusa la garanzia che il debito diminuisca come quota del PIL a medio termine. Ma la coperta sembra essere molto corta: secondo gli economisti, l’unica via d’uscita sarebbe quella di varare un drastico taglio alla spesa pubblica che però ricadrebbe sulle fasce più basse della popolazione, quasi ignorate dalla riforma fiscale (per loro le tasse scenderanno solo dell’1%) e alle prese con le conseguenze dell’inflazione galoppante.
I rendimenti dei titoli di Stato britannici
Non c’è pace nemmeno sul mercato secondario. I rendimenti dei titoli di stato decennali inglesi hanno superato il 4% (attestandosi al 4,25%), il livello più alto da 12 anni a questa parte, e secondo le previsioni arriveranno addirittura al 6%. Nel frattempo, lo spread sui Bund tedeschi è passato da 130 a 210 punti.
“Nulla nei mercati dei titoli di stato britannici negli ultimi 35 anni – nemmeno l’uscita del Regno Unito dal Sistema monetario europeo, l’11 settembre, la crisi finanziaria del 2008, la Brexit, il Covid o qualsiasi mossa della Banca d’Inghilterra – è paragonabile ai movimenti dei prezzi in reazione al piano promosso dal Governo”, ha sottolineato il Financial Times.
L’intervento d’emergenza della Banca Centrale Inglese
In virtù di quanto sta accadendo, la Banca d’Inghilterra ha annunciato un intervento nel mercato obbligazionario del Regno Unito. La Boe effettuerà acquisti di titoli di Stato per “ripristinare le normali condizioni di mercato”. Non solo, è stata rinviata al 31 ottobre l’asta di Gilt trentennali che era prevista per stamani.
“La Banca effettuerà acquisti di titoli di Stato a lunga scadenza”, ha fatto sapere la BoE tramite una nota, in cui precisa che questa “operazione sarà interamente finanziata dal Tesoro”.
In risposta, il tasso a 30 anni, che all’inizio della seduta era salito al 5,14% (il livello più alto dal 1998), è sceso al 4,73%.