Tavares: l’uomo che ha fatto il bene degli azionisti e il male delle aziende. È così che è stato definito il neo dimissionario ceo di Stellantis, che ha lasciato il comando domenica sera dopo quattro anni di gestione proprio su disaccordi legati alla sua strategia di minimizzazione dei costi per massimizzare i margini.
I numeri parlano chiaro: da una parte maxi-dividendi, pari a 23 miliardi di euro, assicurati agli azionisti, lui stesso compreso. Dall’altra lettere di licenziamento per 13.000 dipendenti. L’ex ceo per altro, stipendio base da 10 milioni di euro, nel 2023 ha avuto una retribuzione di 36,5 milioni, con un aumento del 56% rispetto ai 23,5 intascati nel 2022. I termini di paragone sono impietosi: Oliver Blume, numero uno di Volkswagen, ha intascato circa 10 milioni di euro, Ola Källenius (Mercedes-Benz) ne ha intascati 12 e il ceo di Bmw, Oliver Zipse, si è fermato a 9. Tantissimi se paragonati agli “appena” 5 di Luca de Meo, il timoniere di Renault e tra i nomi più chiacchierati come possibile successore proprio di Tavares.
A Piazza Affari il titolo mette a segno un rialzo del 3,6% scambiando a 12,528 euro per azione e portandosi in testa al listino (Ftse Mib a +0,8%). Secondo alcuni osservatori, a spingere gli acquisti sono state le parole del Cfo Doug Ostermann che ieri ha confermato, come già indicato nel comunicato di domenica sera, la guidance per il 2024. Parlando alla conference di Goldman Sachs il manager ha anche individuato nei volumi e nell’efficienza i driver per il 2025 e ha rassicurato circa i dividendi.
Tuttavia, si registra un calo della quota di mercato nel mese scorso anche a causa di problemi alla produzione considerati al momento temporanei. ‘La riduzione delle scorte sotto il livello target negli Stati Uniti e’ positiva, ma al tempo stesso riteniamo che sia stata raggiunta tramite una piu’ ampia sottoproduzione mentre la quota di mercato e’ tornata a peggiorare in novembre’, commentano gli analisti di Intermonte, che aggiungono che ‘le parole di supporto per la remunerazione degli investitori erano gia’ state espresse in occasione dei risultati del terzo trimestre’. Intermonte, dunque, mantiene il rating ‘neutral’ e un target price a 12,80 euro. Tornando alle parole del Cfo, la solida struttura finanziaria permette di pensare a un possibile buy-back (visti i prezzi a cui tratta il titolo) che verra’ discusso quando ci saranno i numeri definitivi del 2024. Equita evidenzia come ‘le stime di consensus recentemente raccolte dalla societa’ prevedono gia’ un recupero nel 2025′, dunque gli analisti ritengono che ‘il buy-back possa essere confermato anche se di ammontare nettamente inferiore ai 3 miliardi deliberati nel 2024’.
Elkann alla Maserati: “Tempi duri”
Ora il presidente John Elkann sembra voler mostrare un approccio diverso verso i dipendenti. In attesa di trovare il successore di Tavares e mentre ad interim è stato costituito un comitato esecutivo, il nipote di Gianni Agnelli ha voluto dedicare alla storica fabbrica Maserati di Modena la sua prima visita dopo l’uscita di Tavares. L’azienda del tridente è forse quella più in difficoltà del gruppo: fra gennaio e settembre 2024 il polo modenese ha sfornato 220 automobili, un quarto rispetto a un 2023 già deludente. In totale Maserati ha venduto circa 8.600 vetture nel mondo, il 60% in meno dell’anno precedente. “La nostra industria sta attraversando momenti duri” ha riconosciuto parlando ai dipendenti Maserati.
Tuttavia questo nuovo mood raccolto con la visita a Modena è stato offuscato dalle dichiarazioni del cfo della casa, Doug Ostermann secondo cui la futura guida del gruppo non dovrebbe modificare troppo la rotta industriale di Stellantis: “Fra Tavares e il board ci sono state divergenze negli ultimi 3-6 mesi sulle priorità e sulle azioni da intraprendere” nel breve termine. Non c’erano invece disaccordi sulla strategia a lungo periodo”.
Soffrono gli stabilimenti ex-Fiat: nel 2024 meno di 500 mila auto
Sono però tutti gli stabilimenti italiani dell’ex Fiat a soffrire, tanto che nel 2024 non si arriverà a 500 mila veicoli assemblati nel Paese. Se questi livelli produttivi saranno mantenuti, secondo le stime di AlixPartners, i posti a rischio nel settore auto in Italia saranno almeno 50 mila. Non a caso, Il governo ha fissato al milione di veicoli il traguardo da raggiungere nel 2030 per i sei stabilimenti Stellantis. Oltre il doppio.
Dal 1970 quanto ha ricevuto l’azienda dallo Stato
“Al prossimo tavolo con Stellantis del 17 dicembre attendiamo novità concrete che riaffermino la centralità del nostro Paese nel piano industriale del gruppo”, ha ribadito Adolfo Urso alla Camera. Il ministro delle Imprese ha anche annunciato che, dopo il taglio di 4,6 miliardi al fondo per l’auto previsto nella manovra, i circa 200 milioni rimasti per il 2025 saranno integrati fino ad arrivare a 750 milioni, tutti destinati a sostenere gli investimenti delle imprese, nulla invece per gli incentivi all’acquisto. Il tavolo sarà preceduto il 12 dicembre da un incontro a Torino fra i sindacati metalmeccanici e il responsabile Europa di Stellantis, Jean-Philippe Imparato, uno fra i possibili sostituti di Tavares.
Il rapporto tra Stellantis e il governo fa parte del tessuto socio-economico dell’Italia: il settore automobilistico rappresenta oltre il 5% del Pil italiano e circa tre quarti delle imprese del settore hanno a che vedere con Stellantis, in modo più o meno diretto. Secondo alcune stime, dal 1970 a oggi, i vari governi hanno versato nelle casse di quella che fu la Fabbrica Italiana Automobili Torino, ben oltre 220 miliardi di euro. Più recentemente dal 2016 al 2024, Stellantis, ex Fca, ha ricevuto circa 100 milioni in aiuti statali, tra cui fondi destinati all’aggiornamento tecnologico degli impianti e al sostegno della cassa integrazione per i lavoratori. Dal 2014 al 2020 ha incassato circa 446 milioni di euro, di cui 263 milioni a carico dell’azienda stessa. Inoltre, durante la pandemia, il gruppo ha beneficiato di una garanzia statale di 6,8 miliardi di euro, impegnandosi a mantenere e potenziare gli investimenti in Italia.
Nel 2025 scade la cassa integrazione per 12 mila lavoratori
I dipendenti in Italia sono passati da poco meno di 53 mila alla nascita di Stellantis, nel gennaio 2021, ai poco meno di 40 mila stimabili a fine anno: via uno su quattro. Nel 2024 saranno circa 3.000 gli esodi incentivati. Altri 1.500 l’anno scorso e 3.000 nel 2022. I lavoratori in uscita hanno potuto contare su somme variabili dai 30 ai 130 mila euro (a seconda di ruolo e anzianità di servizio). Quindi, calcolando una buonuscita media da 70 mila euro a lavoratore, si tratta di circa 500 milioni di euro stanziati negli ultimi tre anni per ridurre i dipendenti in Italia. Si è poi fatto ampi ricorso alla cassa integrazione. Dal 2014 al 2020 Fca ha ricevuto dallo Stato 183 milioni. Dal 2021 al maggio 2024 la spesa dello Stato per la cassa è salita a 703 milioni. Nel 2025 la cassa scadrà per circa 12 mila dipendenti Stellantis e per altrettanti nell’indotto: senza proroga l’unica prospettiva è la perdita del lavoro.
Investimenti in Ricerca e sviluppo: la metà di Volkswagen
Il gruppo ha lamentato una produttività negli stabilimenti italiani più bassa del 38% rispetto a quelli spagnoli: fatto 100 le ore per veicolo in Italia, in Spagna ne basterebbero 62. Ma il tema è anche quanti investimenti sono stati fatti da Stellantis per rendere le fabbriche e le auto più competitive. Nell’ultimo triennio, bilanci alla mano, il gruppo ha speso in ricerca e sviluppo in totale 19 miliardi, in media il 3,8% dei suoi ricavi annui. Nel solo 2023 Volkswagen, principale concorrente in Europa, ha puntato 21,8 miliardi sull’innovazione, l’8,1% del suo fatturato.
Pioggia di dividendi per i soci. Alla famiglia oltre 3 miliardi
Invece la strategia di Tavares si è rivelata a lungo molto redditizia per i soci. Il manager ha mantenuto la produzione degli stabilimenti al minimo, sfruttando ogni picco di domanda di auto per alzare i prezzi. Il piano ha scontentato governi e dipendenti, ma ha trasformato Stellantis in una macchina da soldi, capace di macinare utili. Forte di questi profitti, in quattro anni il gruppo nato nel 2021 dalla fusione fra Fiat-Chrysler e Peugeot ha distribuito agli azionisti circa 23 miliardi: oltre 17 miliardi dividendi (inclusa la spartizione delle azioni di Faurecia) e 5,5 miliardi di riacquisti di azioni proprie. La famiglia Agnelli-Elkann, primo socio della casa con i 14,9% attraverso la cassaforte Exor, ha incassato cedole per oltre 3 miliardi (includendo le azioni dell’azienda di componentistica Faurecia). Si attende che il previsto miglioramento della performance possa consentirle di pagare un dividendo nel 2025, ha Ostermann. “Il nostro bilancio può sostenere la situazione attuale e rispettare i range fissati sulla liquidità”, ha detto il Cfo, specificando che c’e’ “fiducia nella capacità dell’azienda di generare liquidità e di ottenere una buona performance nel 2025”. La società ha poi raggiunto significativi progressi nella riduzione delle scorte negli Stati Uniti con 310mila unità a fine novembre.