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Stellantis ripaga i 6,3 miliardi di debito Sace e punta sulla Cina

Imagoeconomica

Sbanda in Borsa il titolo Stellantis, al termine di una settimana difficile per il comparto a quattro ruote cui contribuiscono vari fattori: la performance negativa di Tesla, che in una sola giornata ha bruciato 109 miliardi di valore di Borsa, le difficoltà nelle forniture di chips così come l’andamento al ribasso delle immatricolazioni. Una somma di circostanze che pesa sulle quotazioni dei titoli europei in forte calo a Parigi e Francoforte. E che penalizza l’intero listino a Milano, in calo dell’1,9%. Stellantis, che lascia sul terreno il 3,5% del valore, non fa eccezione. Ma la piccola frana, che capita a pochi giorni dal primo compleanno della fusione tra Fca e Peugeot, cade in un momento delicato per il gruppo. Soprattutto per il futuro (ed il presente) dell’industria italiana. Per più motivi:

Si sgretola, in assenza di interventi di politica industriale, la filiera italiana a quattro ruote ancora legata al mondo dei motori a combustione.  E’ di giovedì l’annuncio di 700 esuberi in cinque anni alla Bosch di Bari causa addio ai motori diesel e benzina e altri 550 esuberi tra i colletti bianchi alla Marelli.

In questo quadro viene accolta con sospetto la notizia segnalata da Bloomberg e ufficializzata a fine mattinata dal gruppo, del rimborso anticipato del prestito da 6.3 miliardi garantito all’80% da Sace e fornito da Intesa Sanpaolo nel giugno 2020 (prima della realizzazione della fusione con PSA) a sostegno delle attività italiane del gruppo (pagamento stipendi, fornitori) con specifici vincoli. Niente di straordinario perché Stellantis, forte di una posizione di cassa solida, dispone di condizioni migliori sul mercato. L’estinzione anticipata di un anno è senz’altro il segno del buono stato di salute della casa automobilistica euro- americana. La liquidità non manca: la posizione finanziaria netta è positiva per 11,5 miliardi a giugno 2021. Inutile pagare interessi, dunque.

Ma dal punto di vista politico la restituzione del prestito, a suo tempo accompagnato dalle consuete accuse di un “aiuto alla Fiat” viene ora vissuta come una sorta di disimpegno del gruppo verso il Bel Paese, in vista del piano industriale che Tavares presenterà al mercato il prossimo primo marzo. Anche perché non si hanno notizie sulla realizzazione della gigafactory di batterie di Termoli, sulla carta il terzo impianto europeo di Stellantis dopo quelli già in stato avanzato di realizzazione in Francia ed in Germania. 

A complicare la situazione sono le recenti dichiarazioni di Tavares sulla minor competitività degli impianti italiani del gruppo, che non dipendono dal costo del lavoro ma sono il frutto di ritardi nell’organizzazione e, soprattutto, del costo dell’energia, assai più alto in Italia rispetto alla Francia e agli altri Paesi (Spagna e Germania comprese). Di qui il sospetto che il manager, che gode della fiducia incondizionata degli azionisti, pur rispettando la promessa di tenere aperti tutti gli impianti italiani “voglia avere le mani libere sugli investimenti e i non investimenti”, come dice Francesca Re David, numero uno Fiom.

Non è questa l’unica spina per Tavares consapevole che gli analisti lo attendono al varco il 1° marzo su due temi: 1) il futuro degli impianti europei così come dei tanti marchi (14 in tutto), troppi a detta di molti esperti; 2) il futuro del gruppo in Cina. E su questo terreno Stellantis è al centro di un “pasticcio”. La casa automobilistica italo-francese-olandese ha annunciato l’intenzione di aumentare la propria quota nella joint venture paritaria con il produttore di veicoli cinese Guangzhou Automobile Group Motor (GAC Motor) dal 50 al 75 per cento così come consentono le nuove leggi di Pechino. Ma dopo la pubblicazione della notizia il partner cinese è insorto: l’annuncio è avvenuto senza l’approvazione della casa automobilistica cinese. Uno scivolone che probabilmente allungherà i tempi dell’operazione, uno dei cardini della lunga marcia di Tavares alla vetta del mercato: la società cinese, secondo gli analisti di Jefferies, sarà la base per espandere il marchio Jeep (assieme alla Opel elettrica) in tutto il Far East.  

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