Il gruppo Stellantis, nato per essere il quarto produttore mondiale di auto, avrebbe dovuto integrare, sul piano industriale e commerciale, i punti di forza della Fiat e dei francesi di Psa.
La Fiat portava in dote il mercato nordamericano (Usa e Canada), dopo l’acquisizione di Chrysler, ove i francesi erano completamente assenti, e la maggiore capacità produttiva del Sud America, con il proprio stabilimento di Belo Horizonte, contro quelle di Volkswagen, Ford e General Motors.
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Inoltre, last but not least, il nuovo gruppo avrebbe potuto avvantaggiarsi dell’organizzazione del lavoro operaio voluto da Marchionne, il Wcm (World class manufacturing), che superava il sistema prescrittivo del taylorismo con l’ obiettivo, favorendo la motivazione e partecipazione dei lavoratori, di “zero infortuni” e “zero malattie muscolo scheletriche” (il cosiddetto tunnel carpale); una metodologia ingegnerizzata totalmente dagli uomini Fiat ed esportata anche negli stabilimenti americani con grande apprezzamento del potente sindacato metalmeccanico statunitense Uaw. Aspetto non secondario, atteso che la situazione degli infortuni sul lavoro, in particolare quelli mortali, fa registrare al primo posto in Europa la Francia stessa.
Stellantis e il motore elettrico
La Psa vantava, sugli altri concorrenti europei, la migliore conoscenza nella tecnologia del motore elettrico, grazie anche alla partecipazione nel suo azionariato di un socio cinese, oltre alla ultra decennale presenza industriale in Cina e nei Paesi dell’ estremo oriente ed africani, frutto del retaggio del passato coloniale francese.
Ed è proprio sul motore elettrico che Stellantis, nella persona di Tavares e del suo entourage, hanno pensato di costruire un vantaggio competitivo in Europa rispetto ai concorrenti, non solo in ottica 2035 ma anche con l’ entrata in vigore già dal 2025 del sistema sanzionatorio in materia di emissioni di CO2 delle autovetture nuove e dei veicoli commerciali leggeri nuovi.
Stellantis e l’arrivo di Marchionne
Mentre Fiat supera la crisi dei primi anni duemila con l’arrivo di Marchionne che punta sullo sviluppo con i nuovi modelli, gli investimenti a Mirafiori e Pomigliano e l’entrata nel mercato americano, senza incentivi statali agli investimenti e soprattutto quelli per drogare il mercato (che, nonostante la vulgata, hanno favorito nel passato più le case automobilistiche estere che la Fiat ed oggi, sul mercato dell’ elettrico, hanno dato una grossa spinta alla penetrazione cinese).
Marchionne sottolinea anche che il costo del lavoro è soltanto l’8% del totale dei costi di una azienda automobilistica e, in questa ottica , avvia una stagione di relazioni industriali che portano ai rinnovi dei contratti di lavoro con livelli salariali superiori a quelli del contratto nazionale dei metalmeccanici.
Psa supera al contrario la crisi con l’entrata nel suo capitale dello Stato francese ed affida dal 2014 a Carlos Tavares la riuscita del suo piano di rilancio, basato su riduzioni di personale e taglio dei costi, non rinunciando comunque all’ acquisizione di una azienda decotta come la Opel per aumentare la quota sul mercato europeo in vista di eventuali alleanze, come in effetti è poi avvenuto.
Stellantis, ecco cosa fa Tavares
Tavares, nominato amministratore delegato di Stellantis, per consolidare la sua posizione ha come obiettivo di portare agli azionisti immediati risultati positivi, in una logica di breve periodo, secondo quanto i mercati finanziari oggi richiedono, puntando innanzitutto sul taglio dei costi fissi e variabili.
Sono chiusi e venduti stabilimenti come quelli di Grugliasco e Rivalta, nelle fabbriche eliminato il Wcm, giudicato troppo oneroso, rivisitati al ribasso i contratti per le mense e le pulizie dei servizi generali e quelli per la manutenzione ordinaria e straordinaria, alienata la Palazzina del Lingotto e svuotata quella di Mirafiori, evitata per l’intervento delle Belle Arti la cessione del Museo Storico Fiat, ma affidata la gestione al Museo nazionale dell’automobile.
I fornitori italiani vengono “consigliati” di trasferire le loro produzioni in Marocco dove il costo del lavoro è notevolmente più basso, invito non raccolto poiché la filiera del nostro automotive è ormai per oltre il 70% dipendente dall’ industria tedesca, pur nella attuale criticità.
I lavoratori sono invitati ad andare in pensione o a dimettersi con incentivi economici : circa 8 mila dalla costituzione di Stellantis.
Peraltro da sempre gli “ingegneri” francesi invidiano il nostro ammortizzatore sociale della cassa integrazione guadagni, che permette la gestione delle eccedenze di personale, temporanee o strutturali, per periodi ben più prolungati del loro “chomage technique”.
E di questo strumento Tavares, o chi per esso, ne ha approfittato alla grande con l’ assegnazione agli stabilimenti italiani di vetture elettriche di nicchia e costose, ma con un mercato inferiore rispetto alle potenzialità produttive, dissaturando la loro capacità produttiva e condannandoli ad una lenta agonia, se non si interverrà con un nuovo piano industriale.
La convinzione che la competenza tecnologica del motore elettrico fosse superiore a quella degli altri concorrenti europei, in particolare di Renault e VolksWagen, ha portato Tavares, ed il management ingegneristico francese, a ritenere che si potessero rispettare le tempistiche europee della transizione green e che ciò costituisse un vantaggio competitivo sugli altri costruttori.
Motivo per cui Stellantis, non condividendo gli allarmi lanciati dall’Acea, l’associazione europea dei costruttori automobilistici, sull’impatto negativo delle politiche comunitarie sulla industria europea, a partire dalle sanzioni previste dal 2025 sul mancato rispetto dei rapporti produttivi tra vetture elettriche ed endotermiche, in aperta polemica usciva dall’Acea stessa,
Il giorno dopo le dimissioni di Tavares, Stellantis manifestava subito l’intenzione di rientrare in tale associazione dal prossimo 1° gennaio.
Peraltro, a fronte di un mercato dell’elettrico non in crescita anzi in diminuzione, e quindi con una produzione dell’ elettrico in calo, per restare nei parametri previsti dal 2025, a regole attuali, Stellantis dovrebbe ulteriormente tagliare anche la produzione della motorizzazione endotermica, aumentando di converso la cassa integrazione negli stabilimenti italiani.
Stellantis: il fronte americano non è andato meglio
Per anni il mercato americano, grazie al colpo di genio di Sergio Marchionne, è stato la “gallina dalle uova d’oro” prima per gli azionisti di Fca e poi di Stellantis.
Per operare in Nord America bisogna però conoscere ed essere conosciuti dagli americani, e Marchionne per loro (presidenti, sindacalisti e lavoratori) era semplicemente Sergio, un americano, che frequentava lo Studio Ovale e i tavoli sindacali, e nei family day lo trovavi al barbecue che serviva hamburger e patatine ai lavoratori Chrysler.
Negli Stati Uniti la “Tavares school”, come colà definita, per fare utili nel breve periodo, cioè taglio dei costi e politica dei prezzi elevati, non ha però funzionato.
I concessionari con i piazzali pieni di vetture invendute si sono ribellati ed il sindacato Uaw ha avviato una serie di scioperi, irrigiditosi anche per la latitanza al tavolo sindacale dell’ amministratore delegato, contrariamente ad una tradizione delle relazioni sindacali americane che vede come protagonista nelle trattative direttamente il Ceo, e non suoi delegati.
Risultato: gli utili sono crollati.
La fine della “gallina dalle uova d’oro”, dopo il warning profit di ottobre, ha portato alle dimissioni repentine di Tavares.
Il vento in Stellantis pare comunque cambiato.
La prima mossa di John Elkann è stata quella di richiamare come suo special advisor Richard Palmer, manager Fiat dei numeri da una vita, ex direttore finanziario di Stellantis ed allontanato da Tavares oltre un anno fa per sostituirlo con una persona esperta dei settori alimentari e già congedata ad ottobre scorso.
Resta la questione italiana, centrale per il nostro Paese ma con la consapevolezza che per Stellantis la produzione nazionale vale oggi circa un decimo del suo totale, e che per raddoppiarla perlomeno ad un milione di vetture ci sarà bisogno di un consistente piano industriale e di un nuovo demiurgo, come in passato la Fiat ha avuto, ad esempio, con Valletta, Ghidella e Marchionne.
Il fatto che l’azionista si sia riservato di individuare il nuovo Ceo entro giugno 2025 potrebbe indicare che in realtà si sia già scelto, ma che per motivi contrattuali, ad esempio per un patto di non concorrenza, non si possa liberare se non in quella data.