Che ci sia un ritorno dello statalismo nell’idea di economia di mercato postpandemico è evidente. C’è non solo nell’azione concreta dei governi, ma anche nel pensiero economico. Da una parte c’è Francis Fukuyama che dice di volerci lo Stato per uscire dalla crisi pandemica, dall’altra c’è Marianna Mazzucato che, in tempi non sospetti, ha sottolineato il ruolo fondamentale dei governi dell’avviare i grandi processi economici del nostro tempo.
Adesso la studiosa di origine italiana, consulente del premier Giuseppe Conte a Palazzo Chigi e gradita ai Cinque Stelle e a Leu, si spinge a ipotizzare uno Stato azionista in nome di un citizen’s dividend che dovrebbe distribuire tra tutta la comunità i guadagni futuri degli interventi di sostegno e di salvataggio attuati dalle istituzioni per rispondere alla crisi. Finora si sono socializzate le perdite delle imprese, oggi bisogna pensare a ripartire i possibili guadagni che potrebbero risultare dai salvataggi. Ma chi pagherebbe le perdite in caso di fallimento? Lo Stato o i cittadini che investono?
Marianna Mazzucato spiega le sue idee in un intervento sul “New York Times” del 1 luglio 2020 dal titolo We Socialize Bailouts. We Should Socialize Successes, Too.
Prescindendo dalla difficoltà a realizzare un progetto simile, essere tutti azionisti di qualcosa rafforzerebbe il senso di cittadinanza e di appartenenza, cioè la società civile. Qualcosa di cui c’è bisogno come contrappeso alla ramificazione in profondità dello Stato nel mondo postpandemico. Ma che non cancella molte perplessità.
Ecco cosa scrive Mazzucato.
La lezione della crisi del 2008
Quando l’economia è in crisi, a chi ci rivolgiamo per chiedere aiuto? Non alle aziende, ma ai governi. Ma quando l’economia prospera, ignoriamo i governi e lasciamo che siano le imprese ad assorbire i guadagni.
Questa è stata la storia della crisi finanziaria del 2008. Una storia simile si sta ripetendo oggi. I governi hanno speso miliardi in pacchetti di stimolo senza creare le condizioni — come un dividendo per i cittadini, che compenserebbe gli investimenti pubblici — per trasformare gli interventi a breve termine in strumenti per generare un’economia inclusiva e sostenibile.
Questo è il cuore di ciò che alimenta la disuguaglianza: socializziamo i rischi ma privatizziamo i benefici. In questa visione, solo le imprese creano valore; i governi si limitano a facilitare il processo e a correggere i “fallimenti del mercato”.
La crisi del coronavirus offre la possibilità di cambiare questa dinamica e di chiedere una soluzione migliore. Ma per farlo, dobbiamo ridefinire il concetto stesso di valore. Finora abbiamo confuso il prezzo con il valore — e questa confusione ha spinto la disuguaglianza e distorto il ruolo del settore pubblico.
Una corretta idea di valore
La nostra idea del valore è stata forgiata dai politici e dagli economisti che lo vedono come un qualcosa legato allo scambio. In sostanza, solo ciò che genera un ricavo ha un valore. Questo approccio sopravvaluta i beni e i servizi che hanno un prezzo — i quali, a loro volta, formano il prodotto interno lordo di un paese, cioè il motore della politica pubblica.
Questa concezione ha effetti perversi. Una miniera di carbone che immette carbonio nell’atmosfera aumenta il PIL, e quindi ha valore (l’inquinamento che produce non viene preso in considerazione). Ma l’accudimento dei bambini da parte dei nonni non produce una remunerazione, e quindi non ha valore.
Questo meccanismo funziona anche a livello individuale. Le persone che guadagnano molto denaro sembrano essere le più “produttive”.
Nel 2009 Lloyd Blankfein, l’amministratore delegato della Goldman Sachs, ha affermato che i lavoratori della banca sono “tra i più produttivi del mondo”. Lo ha detto appena un anno dopo la crisi finanziaria del 2007–08; appena un anno dopo che la banca aveva beneficiato di un piano di salvataggio di 10 miliardi di dollari del governo (poi restituito).
Il prezzo o il pagamento non è la misura migliore del valore. I governi creano valore ogni giorno, dal quale i cittadini e le imprese traggono vantaggio. Beneficiano, infatti, di infrastrutture “di base” come le autostrade, l’istruzione e altri beni e servizi essenziali, ma anche delle tecnologie che modellano la nostra economia.
Il ruolo del pubblico
Il finanziamento pubblico della ricerca e dello sviluppo ha portato a innovazioni come la tecnologia GPS che alimenta Uber e allo stesso Internet che rende possibile l’esistenza di Google.
Lo stesso vale per molti farmaci importanti. Essi hanno ricevuto finanziamenti per la ricerca ad alto livello dal governo. Vale anche per le fonti di energia rinnovabile come il solare e l’eolico, anch’esse finanziate dai contribuenti nel loro sviluppo. In effetti, anche il fracking deve molto al pubblico.
Ecco perché qualcosa come un dividendo dei cittadini — dove i cittadini possiedono quote uguali in un fondo legato alla ricchezza nazionale — trasformerebbe la storia dell’intervento del governo e creerebbe un’economia più equa.
Darebbe alla popolazione una partecipazione diretta al valore che un paese produce, si contribuirebbe a creare un sistema migliore: Gli investimenti pubblici per le imprese e la ricerca produrrebbero anche premi per i cittadini. Ciò aiuterebbe a ridurre le disuguaglianze — e a socializzare sia i rischi che le ricompense.
L’esempio dell’Alaska e della California
Dal 1982, ad esempio, l’Alaska paga il suo citizen’s dividend attraverso un Fondo permanente basato sul petrolio. Lo Stato dell’Alaska è tra i più equi degli Stati Uniti.
E in California, il governatore Gavin Newsom ha chiesto un “data dividend” per i cittadini dello stato a seguito dell’utilizzo dei loro dati personali. Una richiesta giusta per uno stato in cui ci sono i miliardari della tecnologia che non avrebbero potuto fare fortuna senza investimenti pubblici.
Un dividendo dei cittadini
Un dividendo dei cittadini (a volte chiamato “fondo pubblico di ricchezza”) è un modo per riequilibrare la nostra economia. La partecipazione azionaria è un altro strumento. Quando il governo salva le aziende private o presta loro soldi pubblici, dovrebbe strutturare questi interventi in modo che gli interessi pubblici siano protetti e i guadagni siano proporzionati ai rischi.
I cittadini potrebbero quindi assumere partecipazioni azionarie in aziende che ricevono un sostegno dello stato ad alta componente di rischio, come sono i salvataggi legati al pacchetto coronavirus.
Non è un concetto nuovo. Durante la Depressione, il governo degli Stati Uniti aveva partecipazioni azionarie in società attraverso la Reconstruction Finance Corporation, un’agenzia governativa quasi indipendente che ha contribuito a finanziare il New Deal.
Un venture capitalist con obiettivi sociali
È socialismo? No, è semplicemente riconoscere che lo stato, un investitore di fascia primaria, può trarre vantaggio dal fatto di pensare come un venture capitalist intorno a obiettivi sociali, come l’economia verde. Piuttosto che incolpare il governo per i cattivi investimenti, la vera domanda è come far sì che il paese tragga beneficio da quelli buoni?
Ad esempio, durante l’amministrazione Obama, il Dipartimento dell’Energia ha fatto vari investimenti in aziende verdi, tra cui 500 milioni di dollari in prestiti garantiti alla società solare Solyndra e 465 milioni di dollari a Tesla. Quando Solyndra è fallita, i contribuenti l’hanno salvata. Ma quando Tesla è cresciuta, i contribuenti non sono stati ricompensati.
Peggio ancora, l’amministrazione strutturò il prestito di Tesla in modo che il governo potesse ottenere tre milioni di azioni della società se Tesla non avesse rimborsato il prestito. Se avesse fatto il contrario, cioè chiedere a Tesla di pagare tre milioni di azioni se avesse rimborsato il prestito, il governo avrebbe coperto la perdita di Solyndra e avrebbe avuto più fondi per investimenti futuri.
Il governo deve avere una mano negoziale più ferma per assicurare che la crescita economica funzioni anche per i suoi cittadini. Le sovvenzioni e i prestiti dovrebbero essere subordinati a condizioni che allineino il comportamento aziendale agli obiettivi della società nel suo complesso.
Oggi questo significa che le aziende che ricevono l’assistenza del coronavirus devono impegnarsi a tenere i lavoratori, a ridurre le emissioni di CO2 e a non ricorrere in modo eccessivo al riacquisto di azioni proprie.
Il prezzo al servizio del valore
Ciò è già successo. In Danimarca, il governo ha offerto alle imprese generose compensazioni salariali a condizione di non effettuare licenziamenti per motivi economici; ha anche rifiutato di salvare le aziende nei paradisi fiscali e ha proibito l’uso di fondi per dividendi e riacquisti di azioni. In Francia, i salvataggi delle compagnie aeree sono stati subordinati al raggiungimento di ambiziosi obiettivi in materia di emissioni inquinanti.
Infine, dovrebbe essere il prezzo ad essere messo al servizio del valore, piuttosto che il contrario. La corsa al vaccino contro il coronavirus offre una buona opportunità. Tanto per cominciare, il prezzo che i cittadini pagano per i farmaci non riflette l’enorme contributo pubblico che le industrie farmaceutiche ricevono.
I vaccini Covid 19
Nel 2019, i contributi alla ricerca medica hanno oltrepassato i 40 miliardi di dollari. Per esempio, Gilead ha chiesto 3.120 dollari per ogni ciclo di trattamento del suo farmaco Covid-19, remdesivir, che è stato sviluppato con una sovvenzione stimata in 70 milioni di dollari da parte dei contribuenti americani.
Il prezzo dei vaccini Covid-19 deve tenere conto delle partnership pubblico-privata alla base della ricerca finanziata con fondi pubblici. Bisogna anche assicurarsi che i brevetti sui vaccini Covid-19 siano condivisi e che il vaccino sia universalmente disponibile e gratuito.
Per socializzare realmente i rischi e i benefici e avere un impatto sulla disuguaglianza, basta iniziare con delle semplici domande: che cos’è il valore e come viene creato? Come possiamo socializzare o risultati qualsiasi essi siano?