C’è da sperare che nei prossimi giorni si possa finalmente capire se e come gli annunciati e discussi “Stati generali” saranno in grado di delineare concretamente il carattere di rinnovamento che si vuole imprimere al percorso di sviluppo del Paese. L’evento, in una situazione in cui l’emergenza è divenuta una dimensione costante, seppure non si presenti come risultato di un approfondito lavoro di preparazione (e qui bisogna dire che peserà l’assenza dell’opposizione!), può dar luogo a una raccolta di pareri, idee e proposte delle parti sociali e produttive, da tenere responsabilmente nel massimo conto per l’elaborazione di un definitivo recovery plan italiano. Un serio e reale confronto consentirà di arrivare in tempi ragionevoli alla configurazione di un insieme di progetti concreti e condivisi, con obiettivi, risorse e tempi definiti. Tutto, ovviamente, dipenderà dal carattere e dalla compiutezza del documento di base che presenterà il premier, nel quale si combineranno il programma di riforme che stanno preparando il ministro dell’Economia Gualtieri e gli altri ministri con parte delle proposte del “Piano Colao”. Potendo così accedere ai fondi che, con uno sforzo straordinario, l’Unione Europea sta per mettere a disposizione.
Nei prossimi giorni e settimane sicuramente il confronto che si realizzerà negli “Stati Generali” sarà oggetto di diffuse discussioni e dibattiti, si potrà entrare nel merito della visione di futuro che ne emerge e valutarne le componenti per il loro impatto sulla realtà economica e sociale del Paese. Non c’è dubbio che ci stiamo immettendo in una fase decisiva per il futuro dell’Italia; una fase che va molto aldilà del superamento della crisi innestata dalla pandemia.
In questa sede si vuole svolgere qualche considerazione affrontando, seppure solamente in parte, il problema dal versante giovani generazioni. Come ha detto nella sua Relazione finale il Governatore Visco, in quest’ultimo mese è stato necessario mobilitare risorse che hanno fatto crescere il debito pubblico al 156 per cento del pil un “lascito pesante” che graverà tutto sulle spalle delle nuove generazioni. In particolare sui quindici-ventenni di oggi, donne e uomini che costituiranno buona parte del nucleo centrale della classe dirigente del Paese per i prossimi 20-40 anni.
Chi governa oggi ha il dovere imprescindibile di apprestare per loro gli strumenti necessari per costruire – con le competenze che devono essere messi in grado di acquisire – un sistema economico e sociale più sicuro, più dinamico, innovativo e sostenibile, meno diseguale e più inclusivo.
Al cuore del disegno di sviluppo che emergerà dagli Stati Generali, cioè, deve esserci la consapevolezza che, per dare sicure fondamenta al processo di ricostruzione economica e sociale, sia necessario considerare come risorsa centrale il capitale umano, cioè la conoscenza nella sua accezione ampia, e quindi guardare ai giovani come asset fondamentale su cui investire con visione di futuro. Bisogna quindi assumere tra le priorità l’investimento in formazione, ricerca e scienza, spingendo questo mondo pieno di potenziali e singole eccellenze, ma fortemente segmentato, diseguale e sottofinanziato, a superare la frammentazione attuale e a procedere verso la graduale costruzione di un sistema di realtà scientifico-culturali tra loro interagenti, collegate attraverso poli di innovazione e trasferimento tecnologico al mondo delle imprese e alle esigenze di base della società. A questo proposito, ancora Ignazio Visco ricorda che oggi (come nel 2008) “lo Stato investe nelle università circa 8 miliardi, la metà in rapporto al Pil di quanto fanno i Paesi a noi più vicini. Anche solo lo spostamento di una frazione modesta del bilancio pubblico produrrebbe un deciso miglioramento della formazione dei giovani e della capacità di produrre innovazione”.
In conclusione, bisogna dire che il Piano Colao, tra le sei aree che compongono La strategia per il rilancio dell’Italia individua in quella intitolata Istruzione, Ricerca e Competenze i “fattori chiave dello sviluppo”. Per quest’area vengono proposte 13 azioni, tra le quali si distinguono in particolare:
- la spinta ai singoli atenei a caratterizzarsi su una definita combinazione di funzioni (formazione di base, formazione specialistica e dottorale, ricerca pura, ricerca applicata, terza missione, contributo allo sviluppo territoriale…);
- l’impegno ad aumentare il numero dei ricercatori, la mobilità, l’attrazione dall’estero, il bilanciamento di genere, con il superamento del gap tra Sud e Nord.
- la diffusione di dottorati di ricerca per l’innovazione delle imprese (“applied PhD”) e per le politiche pubbliche (economia, management e scienze sociali), in aggiunta a quelli finalizzati alla carriera accademica.
- il rafforzamento della cooperazione tra università e imprese creando laboratori congiunti, e puntando nel lungo periodo alla creazione di una Fondazione di diritto privata, controllata da un ministero competente, mirata a potenziare l’innovazione, lo sviluppo e il trasferimento tecnologico alle aziende.
- Il sostegno per favorire l’accesso alla formazione di nuove competenze anche dei giovani appartenenti a famiglie a basso reddito, per costruire un programma nazionale di orientamento dei giovani, per diminuire la dispersione scolastica, l’abbandono degli studi e consentire la comprensione dei cambiamenti sociali ed economici in atto.
Probabilmente non è tutto quello che ci vuole, non si potrà fare tutto, non tutto è totalmente condivisibile, così come non si comprende di quali risorse ci sarebbe bisogno. Ma la direzione, con i necessari aggiustamenti e priorità da definire, sembra essere simile a quella che con gli ultimi provvedimenti ha intrapreso l’attuale ministro, prof. Gaetano Manfredi, il quale, come presidente della Conferenza dei Rettori Italiani (CRUI), qualche anno fa aveva elaborato un documento dal titolo: Abbiamo una università europea? Un obiettivo oggi ancor più necessario.