Momento difficile per Starbucks, e non solo, in due mercati importanti come gli Usa e il Brasile. Venerdì scorso la nota catena statunitense di caffetterie, sbarcata in Italia solo nel 2018, ha dovuto affrontare il primo grande sciopero indetto dal sindacato Starbucks Workers United, costituito nel 2021 e che per questa agitazione ha coinvolto oltre 200 negozi in tutto il Paese.
La settimana precedente, sebbene Starbucks avesse appena comunicato un quarto trimestre fiscale da record con i ricavi globali a sfiorare i 10 miliardi di dollari, grazie soprattutto a Stati Uniti e Cina, dove si trova il 60% dei suoi 36.000 negozi totali, era scoppiata invece la grana nel primo mercato del Sudamerica, in cui l’azienda di Seattle ha 187 punti vendita.
Starbucks via dal Brasile
In seguito alla richiesta di amministrazione controllata depositata il 31 ottobre dal fondo SouthRock Capital, che gestisce le attività di Starbucks in Brasile e ha lamentato un debito di quasi 2 miliardi di reais (400 milioni di euro), una quarantina di punti vendita hanno già chiuso i battenti, lasciando senza lavoro 885 dipendenti, che ora dovranno attendere l’esito del procedimento fallimentare per ricevere i complessivi 10,44 milioni di reais che Starbucks gli deve.
La richiesta di amministrazione controllata è ancora in fase di analisi da parte del Tribunale di San Paolo e non è ancora chiaro se la catena, che in Brasile dichiara un fatturato mensile di 50 milioni di reais, sarà in grado di ripartire o dovrà chiudere per sempre come ha già fatto in passato in altri mercati rilevanti come ad esempio l’Australia o, per motivi diversi, la Russia. O ancora l’Italia, se consideriamo che nel nostro Paese è rimasta una manciata di punti vendita, dopo la grande operazione di marketing del Reserve Roastery nel centro di Milano (che aveva portato alla sponsorizzazione delle famose e discusse palme di piazza Duomo).
A rischio Eataly
Sempre a proposito di Italia, un lato interessante della vicenda è che SouthRock in Brasile ha un piccolo impero agroalimentare, che include non solo Starbucks ma anche la catena di fast food Subway, Brazil Airport Restaurantes, Brazil Highway Restaurantes e soprattutto l’italiana Eataly, che nel 2015 ha aperto un imponente store di 4.500 metri quadrati a San Paolo, il primo della creatura di Oscar Farinetti in America Latina. Sarebbe dunque a rischio, in Brasile, anche uno dei brand più famosi del made in Italy all’estero?
Dall’ufficio stampa, sollecitato da FIRSTonline, non è arrivata nessuna risposta, anche se è notizia di qualche giorno fa che la stessa SouthRock ha chiesto di escludere Eataly dalla richiesta di amministrazione controllata. Questo perché Eataly Participaçoes ha meno di due anni di attività.
SouthRock Capital e Eataly insieme da dicembre 2022
Il passaggio a SouthRock Capital è infatti datato meno di un anno: era il dicembre 2022 quando, con un comunicato stampa congiunto, Eataly e il fondo specializzato nel food&beverage annunciavano l’operazione, ricordando che lo store di San Paolo riceve 20 mila clienti a settimana e che il gruppo italiano fattura oltre mezzo miliardo a livello globale.
“Abbiamo scelto SouthRock – aveva all’epoca dichiarato Oscar Farinetti – per la sua solida esperienza nello sviluppo del food service e crediamo che ci aiuterà nella nostra espansione in Brasile. Questo accordo rappresenta un’altra tappa della nostra strategia di crescita internazionale”. Una crescita che però, per lo meno in Brasile, sembra a rischio, dopo l’esplosione del caso Starbucks.
Starbucks supported all the militant agendas of the Socialists, LGBT, hamas, Lula. How does a free trade company support agendas against its own existence?